Gli abbonamenti da SVOD (streaming video on demand) continuano la loro crescita nella preferenza degli utenti della tv, anche se rallentano la corsa cedendo quote alla AVOD.
Cioè il nuovo acronimo a cui gli operatori dovranno abituarsi che riconduce all’advertising video on demand, cioè l’offerta di contenuti streaming su richiesta pagata (in tutto o in parte) dalla pubblicità.
Un ambito verso il quale i broadcaster guardano, da una parte, con preoccupazione e, dall’altra, con interesse.
Il mercato attuale e futuro della AVOD
Se oggi la AVOD rappresenta, secondo il più recente rapporto ItMedia Consulting, il 35% del totale (quota che equivale a 8,3 miliardi di euro), di qui a tre anni (quindi nel 2026) arriverà al 40% (11,9 miliardi).
Alterazione dei rapporti nell’ambito del macrosistema VOD
Se, quindi, i ricavi dalla vendita di abbonamenti rappresenteranno ancora la fonte maggiore di ricavi del complesso del VOD (che nel 2022 ha sviluppato ricavi per 21,77 miliardi e che raggiungerà i 28,97 miliardi del 2026 con un trend di crescita del 7% annuo), la quota pay diminuirà di 4 punti percentuali, scendendo dall’attuale 58% al 54%, a fronte di una crescita della AVOD del 13% annuo contro il 4% dello SVOD, che, come abbiamo già avuto modo di scrivere, è giunto a saturazione.
Transactional video on demand
Estremamente marginale, invece la quota del transactional video on demand (l’acquisto o il noleggio del singolo titolo, tipico della piattaforma Prime Video di Amazon), che registra un trend di crescita del 4% (con riduzione della quota complessiva dal 7% al 6%).
Film già visto
Secondo gli analisti di ItMedia Consulting, il passaggio dal pay alla AVOD è un normale processo evolutivo che appare molto simile al passaggio della tv generalista sostenuta dal canone a quello della televisione commerciale.
La visione dei broadcaster
Una tendenza che, come dicevamo in apertura, è vista dai broadcaster, fino ad ora sostanziali esclusivisti del modello free to air sostenuto dalla pubblicità, da una parte con preoccupazione e, dall’altra, come opportunità di integrazione dell’offerta, soprattutto per la catch-up tv, attraverso soluzioni partecipative dell’utenza (come per il gaming). (M.R. per NL)