Non si vuol certo pretendere che tutti i funzionari della P.A. siano esperti di diritto amministrativo.
Ma nemmeno può tollerarsi che una norma basilare per la piena affermazione del giusto procedimento amministrativo sia posta nel nulla a causa di approcci superficiali se non addirittura antigiuridici. Il burocrate carico di preconcetti, che si ricorda delle storture dell’amministrazione pubblica solo quando sveste i panni statali per indossare quelli di cittadino che, a sua volta, si rivolge ad un ufficio governativo, è una specie niente affatto in via di estinzione, con buona pace di Brunetta (foto). Un efficace banco di prova per misurarne la capacità di sopravvivenza anche nell’era telematica viene dalle modalità di applicazione dell’art. 10 bis L. 241/1990, introdotto dalla L. 15/2005. Cioè quell’articolo della legge sul procedimento amministrativo che prevede che "Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda". Ai sensi di tale fonte giuridica, entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti "hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti". "La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell’eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni é data ragione nella motivazione del provvedimento finale". Una norma la cui finalità è così netta da non meritare commenti. Sennonché, troppo spesso, accade che le memorie rese dai privati ex art 10 bis L. 241/1990 siano considerate da taluni funzionari statali come una mera formalità, nonostante l’art. 7 della medesima fonte normativa consacri il diritto degli amministrati di partecipare attivamente al procedimento per poter controllare dall’interno lo sviluppo dell’azione dei pubblici poteri. In pratica, secondo alcuni scoraggianti rappresentanti della Pubblica Amministrazione, tale adempimento nient’altro sarebbe che un noioso intoppo alla conclusione di un procedimento amministrativo la cui decisione (negativa) è già stata assunta, nella presunzione che l’analisi degli elementi istruttori sia stata da loro compiuta al di sopra di ogni ragionevole possibilità di errore (oppure sul presupposto – niente affatto remoto, purtroppo – che il cittadino ha torto fino a prova contraria). Invero, tale negligente comportamento, quando non sfocia addirittura in un abuso (come tale penalmente rilevante), configura una palese violazione del principio di buona amministrazione che regola “il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione” (art. 97 Cost.), svilendo l’obiettivo di leale cooperazione istituzionale tra P.A. e cittadino e comprimendo la democraticità dell’azione pubblica, che potrebbe ed anzi dovrebbe potersi giovare anche di un apporto collaborativo dello stesso cittadino. In generale va osservato che l’istituto introdotto dall’art. 10 bis L. 241/1990 persegue una finalità di rafforzamento del contraddittorio tra P.A. e privati, istruendo una funzione analoga alla comunicazione d’avvio del procedimento prevista dall’art. 7 della stessa legge. Entrambe le norme, infatti, dispongono l’obbligo, a carico della P.A. procedente, di interagire col soggetto dell’azione amministrativa consentendogli l’intervento nel procedimento al fine di tutelare le proprie ragioni, in un’ottica di confronto e di trasparenza con l’azione dei pubblici uffici. A fondo, e come già detto in apertura, l’art. 10 bis prevede che, entro il termine di dieci giorni dal ricevimento del preavviso di rigetto, gli istanti hanno il diritto di avanzare per iscritto le proprie osservazioni, eventualmente munite da documenti, e che “dell’eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale”. Tali osservazioni esercitano la stessa funzione delle memorie scritte disciplinate dall’art. 10, lett. b) L. 241/1990 e la lettura testuale della norma sembra far intendere che, in entrambi i casi, l’Amministrazione è tenuta, nell’eventualità del mancato accoglimento delle osservazioni di parte, ad una puntuale controdeduzione in merito alle osservazioni del privato in sede di motivazione del provvedimento finale. Ma, purtroppo, spesso così non è, soprattutto in alcune sedi periferiche del Ministero dello Sviluppo Economico – Comunicazioni, dove, forse anche a causa di una cattiva formazione del personale sotto il profilo giuridico, la sostanziale disattenzione alle osservazioni dei privati determina, di fatto, una disapplicazione dell’importante norma che il legislatore del 2005 ha voluto introdurre nell’ordinamento per potenziare un leale confronto tra la P.A. ed il cittadino. Sennonché, il risultato concreto dell’indifferenza verso tali semplici considerazioni in diritto è gravissimo, traducendosi nella generazione di un enorme numero di ricorsi agli organi di giustizia amministrativa, con esponenziale aumento dei costi per la tutela degli interessi legittimi dei privati ed un inutile dispendio di denaro e di risorse per il comparto pubblico. L’esile speranza è che questo commento possa dare qualche spunto di riflessione a chi tali errori li commette e a chi dovrebbe controllare che essi non si verifichino. Ma, in cuor nostro, sappiamo che purtroppo è chiedere troppo.