Si discute da diversi giorni sull’utilità di uno spettro comune in relazione alle prossime assegnazioni di frequenze per il wi max annunciate dal Ministero delle Comunicazioni. Fra le posizioni più nette vi è senz’altro quella di chi ritiene che lo spettro frequenziale debba essere sfruttato liberamente.
Il presupposto da cui sostanzialmente partono i fautori del libero spettro è che quest’ultimo non possa qualificarsi come risorsa scarsa e che, conseguentemente, una regolamentazione dello stesso in termini proprietari contrasterebbe con il principio dell’utilità sociale.
Inoltre, l’utilizzo delle radiofrequenze da parte degli utenti in termini di capacità trasmissiva anziché una allocazione delle stesse mediante pubblica selezione, costituirebbe il presupposto di un uso condiviso ed efficiente delle frequenze stesse. Il rischio temuto dai fautori di questa teoria è che la limitatezza dello spettro, e quindi l’esigenza di ripartirlo nel contesto digitale, in verità non sia altro che un paravento in grado di perpetuare (o creare) condizioni di sfruttamento da parte di alcuni soggetti.
Ma è proprio così?
Per comprendere se un originario sistema libero sia effettivamente in grado di creare le condizioni per un uso condiviso, occorrerebbe forse soffermarsi sulla storia recente delle radiofrequenze, punto di partenza obbligato al fine di sapere cosa potrebbe accadere al WiMax.
Come si è rilevato in precedenti contributi su Punto Informatico, la deregolamentazione delle frequenze nel settore radiotelevisivo ha avuto origine negli anni 70 con la sentenza “RAI”; a tale sentenza ha fatto seguito un periodo di grande confusione a cui l’emanazione di diversi provvedimenti ha tentato di dare soluzione. È stato tuttavia con la sentenza n. 102/1990 che la Corte Costituzionale ha stabilito che l’esercizio di impianti radiotelevisivi comporta l’utilizzazione di un bene comune – l’etere – naturalmente limitato, rendendo così necessario un provvedimento di assegnazione della banda di frequenza.
In sostanza, nel mondo radiotelevisivo la libertà conseguente alla deregolamentazione ed all’apertura delle frequenze aveva generato un vero e proprio “far west” all’interno del quale e sino a tempi recenti, le pratiche dell'”occupazione” delle radiofrequenze, dei “ricatti” degli utenti più forti nei confronti dei più deboli (attuati ad esempio con l’aumento della potenza degli apparati a danno delle radio più piccole) erano all’ordine del giorno.
Si pensi che anche oggi che vige una regolamentazione senz’altro più stringente, i rapporti tra i titolari delle frequenze, fra emittenti nazionali e locali viene spesso regolato da accordi più o meno informali. Accordi egemonizzati dai più forti a danno dei più deboli, i quali sono permanentemente esposti alle “ritorsioni” od “occupazioni” da parte di chi, illecitamente, aumenta la potenza dei propri apparati oscurando i rispettivi legittimi ambiti di trasmissione.
Fra le altre conseguenze della tanto agognata liberalizzazione delle frequenze radio, vi è stata inoltre la creazione di gruppi di potere molto concentrati, tali da creare un abisso tra i gruppi editoriali espressione di holding dell’informazione e le radio una volta chiamate “libere”, le quali difficilmente riescono a sostenere gli oneri economici delle trasmissioni.
Ulteriore corollario di questo stato di cose, è stata la ipervalutazione in termini economici delle frequenze “libere”.
Ed anche nel mondo televisivo, l’iniziale liberalizzazione delle relative frequenze (come sopra si è avuto modo di ricordare) unita all’inevitabile “latitanza” del diritto, ha causato situazioni oggi difficilmente definibili in termini giuridici ed alla creazione di un mercato fortemente concentrato.
Esemplare in tal senso è il c.d. principio dell’assentimento che ha trovato attuazione nella c.d. legge Gasparri ed in virtù del quale in presenza di una situazione di fatto (duopolio televisivo, nel caso di specie) il legislatore si limita a registrare, quasi fosse un notaio, la realtà consolidata nel tempo.
Il risultato del descritto “far west” delle radiofrequenze televisive è stato che chi ha avuto la forza economica e giuridica per emergere si è tenuto le frequenze conquistate e ha non di rado “scacciato” i propri concorrenti perpetuando in tal modo situazioni di concentrazione anticoncorrenziali, come ha ben chiarito l’AGCOM al termine dell’analisi sul mercato radiotelevisivo.
La storia delle frequenze nel settore radiotelevisivo, nonché la realtà prodotta dalla liberazione delle frequenze WiFi, possono aiutare ad immaginare ciò che diverrebbe il fenomeno “WiMax” qualora fosse accolta la tesi, senz’altro affascinante, dell’open spectrum.
Basta osservare la realtà di questi ultimi due anni.
In un precedente articolo facevo riferimento alla prassi, avviata dalle Pubbliche Amministrazioni, di “occupare” de facto le bande libere per pubblici progetti. Oggi posso affermare con certezza che nel settore delle bande non licenziate molti soggetti hanno provato a fare i “furbi” aumentando ad esempio la potenza degli apparati al di là dei limiti previsti dalla legge e generando interferenze a danno dei propri vicini.
Chi conosce veramente la materia (ovvero non il sottoscritto) sa cosa può accadere se più persone contemporaneamente decidono di creare più reti operanti sulla stessa frequenza non licenziata.
Se tra queste reti vi è ad esempio la rete di un ente pubblico o di una grande realtà operante nel settore delle telecomunicazioni, difficilmente nelle vicinanze qualcun altro riuscirà a ricevere od a trasmettere; del pari, un soggetto titolare di una stazione base collocata in cima ad una montagna potrà facilmente impedire la trasmissione del segnale (??) da parte di un concorrente la cui stazione base fosse per ipotesi posizionata in un’area metropolitana in fondo alla valle.
I fautori dell’open spectrum ritengono che quello del libero uso sia un regime idoneo a premiare chi è in grado di sfruttare la capacità trasmissiva, sia che si tratti di un semplice cittadino sia che si tratti di un’impresa, determinando in tale modo la massimizzazione dell’utilità sociale, valore di preminente importanza rispetto al profitto. Tale risultato si può ottenere concedendo a “chiunque” il beneficio dall’utilizzo dello spettro.
Tuttavia, è facile osservare come di quel “chiunque” faccia senz’altro parte (se non vogliamo dire “solo”) chi avrà la forza economica-giuridica e fattuale per esclude gli altri, attuando comportamenti opportunistici a danno della collettività e a fini (opportunamente “mascherati”) esclusivamente di massimizzazione del profitto.
Non è dunque la scarsità di frequenze a determinare il conflitto, ma la posizione di potere, in assenza di regole giuridiche preventive e certe, di chi è in grado di influenzare gli andamenti della tecnologia. Questo processo, che ha accompagnato la crescita delle telecomunicazioni in Italia e che ha determinato, fra l’altro, la nascita di zone afflitte dal digital-divide, è stato avvantaggiato da diversi fattori, tra i quali spicca la c.d. “asimmetria informativa e di posizione”.
Si parla di “situazione di informazione asimmetrica” quando una delle parti in una relazione economica dispone di maggiori informazioni rispetto alla controparte per quanto concerne le caratteristiche dei concorrenti, le azioni intraprese ovvero l’ambiente esterno, elementi questi in grado di incidere notevolmente sui risultati della relazione stessa e di conseguenza sul benessere dei partecipanti.
L’asimmetria informativa nel settore del WiMax sarebbe causata principalmente da due diversi fattori, i quali potrebbero ciononostante essere colmati dallo Stato. Infatti:
1) i soggetti economici non sono in grado di essere competitivi per via delle economie di scala dei grandi gruppi economici. Tuttavia:
2) lo Stato, non avendo informazioni certe sul mercato delle frequenze, potrà disporre di un processo di selezione del contraente privato che gli consenta di comprendere il valore delle frequenze stesse.
E si badi bene, la prima delle due situazioni di debolezza indicate, qualora lo spettro sia liberamente a disposizione di chi abbia la capacità di sfruttarlo, potrebbe essere perpetuata in virtù di una regolamentazione che si limiti a prendere atto degli equilibri di fatto esistenti (applicando in tal modo il c.d. principio dell’assentimento) analogamente a ciò che è avvenuto nel mondo della radiotelevisione.
In sostanza, potrebbe accadere che nel prossimo futuro venga prodotta una norma che si limiti a “fotografare” la realtà esistente ed a legittimare dunque la posizione dei soggetti che, per forza economica o per altri fattori, sono emersi come protagonisti del settore WiMax, occupando le frequenze.
Ed è per questo motivo che uno spettro totalmente libero, al di là dei potenziali miglioramenti che al contesto digitale può portare, non possa essere praticabile; inoltre, lo Stato deve necessariamente assumere un ruolo di regolatore dei meccanismi economici alla base della convivenza civile.
Ed ancora, è per questo motivo che lo Stato ha l’obbligo di intervenire per tutelare le posizioni dei soggetti più deboli, siano essi semplici cittadini od imprese in posizione subalterna rispetto a coloro che detengono il potere, predisponendo ad esempio una normativa recante misure asimmetriche a carico delle imprese in posizione dominante (si potrebbe prevedere, ad esempio, l’ingresso ritardato di alcuni operatori nel mercato o l’obbligo di copertura di determinate zone particolarmente svantaggiate).
Peraltro, l’intervento dello Stato, espressamente previsto nella ricostruzione teorica di Pareto, diviene necessario allorquando nella realtà dei mercati prevalgano situazioni di concorrenza imperfetta, monopolistica ovvero di oligopolio.
Situazioni queste, tutte attualmente presenti nel settore delle comunicazioni in Italia. Ed in tutte viene violata la condizione di uguaglianza fra prezzo e costo marginale, in grado di realizzare l’equilibrio delle imprese in concorrenza perfetta e che, in base al 1° teorema dell’economia del benessere, quando vengono soddisfatte (unitamente alle altre condizioni richieste dal teorema stesso), assicurano l’ottimo paretiano.
Alcuni autori (in contesti del tutto differenti peraltro) hanno ritenuto che la norma dovesse seguire e non precedere né orientare in alcun modo la tecnologia; ciò senz’altro vale in molti ambiti, ma non in quello delle radiofrequenze, come è dimostrato dalla storia del settore radiotelevisivo, per i rischi che si corrono in termini di chiusura del mercato e di violazione dei diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini.
Quanto ai rapporti tra WiMax, singoli utenti, ed usi che di tale tecnologia possono farsi, va precisato che non risulta, allo stato attuale, nessuno che (diversamente dalle norma sul diritto d’autore e dal peer to peer) intenda cancellare o limitare gli usi privati in caso di assegnazione delle frequenze; questo, a parere del sottoscritto, rappresenta la migliore garanzia di un uso armonico delle radiofrequenze perché vuol dire che il cittadino non vedrà mai arrivare lo Stato alla porta di casa chiedendogli spiegazioni circa l’utilizzo che faccia degli apparati WiMax.
Fulvio Sarzana di S.Ippolito
Studio Legale Sarzana e Associati
Sull’argomento vedi anche:
Banda larga WiMax, ISOC avverte: dev’essere libera
WiMax, lo spettro radio non è scarso
WiMax, frequenze libere o assegnate?
WiMax, l’Italia lo sta depotenziando
Pagine di questa notizia
1. Le radiofrequenze: dalla libertà alla concentrazione
2. L’open spectrum e il WiMax
3. Uno spettro totalmente libero non è praticabile