dalla newsletter del sito Franco Abruzzo.it
Indagini penali e Procure: l’Europa chiede trasparenza. I cittadini devono conoscere quel che accade nei Palazzacci. Il giornalista non si deve appiattire sulle veline.
“Proprio in virtù della raccomandazione del Consiglio di Europa è doveroso creare un flusso canalizzato ed ordinato di informazioni sulla giustizia. Il flusso deve essere “interattivo”, fatto dalle notizie date dai magistrati e dalle domande dei giornalisti, domande che esigono risposta, che non possono restare inevase. L’informativa consta di comunicati ma deve comprendere, quando è possibile, anche gli atti ostensibili al giornalista, che ha diritto di sapere e di leggere. Alle copie clandestine dei verbali, alle copie abusive degli interrogatori, alle copie contrabbandate dei brogliacci, va contrapposto il diritto del giornalista di acquisire documenti e conoscere carte processuali. Il giornalismo investigativo deve rinascere, può essere giornalismo investigativo sul campo, ma anche, direi soprattutto, giornalismo investigativo sui fascicoli e sugli atti dei processi”.
“Il Consiglio Superiore della Magistratura ha da tempo tenuto presenti le esigenze dell’informazione, affermando che, qualora ragioni di pubblico interesse richiedano chiarezza e trasparenza, anche per rassicurare l’opinione pubblica su un procedimento pendente, è consigliabile che il magistrato incaricato del caso riferisca al capo dell’ufficio, il quale valuterà l’opportunità di una sua dichiarazione ufficiale o di un comunicato stampa, rispettati i limiti del segreto”.
“L’Amico Franco Abruzzo ha ragione: forse è utopistico, ma il giornalista deve essere considerato, al pari delle parti processuali, titolare del diritto ad ottenere copia degli atti, o almeno di taluni essenziali (non più coperti dal segreto).
Questo ovviamente presuppone che i giornalisti abbiano un adeguato bagaglio culturale, capacità di leggere, di interpretare e criticare gli atti.
Franco Abruzzo ha ancora ragione: la preparazione delle nuove leve del giornalismo deve passare per gli studi universitari, direi, anzi, prolungandoli con un master, per quanto qui interessa un master in cronaca giudiziaria o in comunicazione giudiziaria.
Quello tra fonte ed operatore dell’informazione, quello tra il giornalista (mediatore tra la fonte ed il pubblico) e il Palazzo di giustizia (o meglio l’ufficio stampa del Palazzo di Giustizia) deve essere, come detto, un dialogo”.
di Corso Bovio (foto), avvocato penalista del Foro di Milano
Lo scandalo della scalata dell’Antonveneta che ha colpito il mondo bancario nel 2005, la vicenda delle partite di calcio truccate, l’inchiesta di Potenza che ha portato in carcere Vittorio Emanuele di Savoia, da ultimo le indagini sulla complicità di ufficiali del SISMI con la CIA nel rapimento di Abu Omar, sono i più clamorosi filoni investigativi che fanno lavorare il “tribunale mediatico” in udienza ininterrotta.
Intercettazioni, interrogatori, copie di atti, hanno riempito pagine e pagine di giornali.
Nel caso di Potenza la misura cautelare integrale è pervenuta alla stampa su supporto informatico. L’interrogatorio del cittadino Savoia (che ha confessato peccati carnali e che ha ingenuamente chiesto ai magistrati “ma mia moglie non saprà nulla di quello che dico?”: avrebbe meritato la risposta “non possiamo dirle se sua moglie lo saprà, certo lo sapranno i cronisti e tutti i lettori dei giornali”) ha occupato il supplemento di un quotidiano che ha dato alle stampe il verbale nella sua interezza.
Il flusso di notizie giudiziarie arriva in edicola in mille rivoli e in cento fiumi. E non v’è una autorità di bacino, non v’è un regolatore dei flussi delle informazioni. Vi sono però decine di esondazioni, Si verifica anche qualche devastante alluvione.
Oggi però è in vigore un nuovo principio per quanto riguarda le Procure della Repubblica.
Il decreto legislativo 20 febbraio 2006, n.106, prevede il riassetto dell’ufficio del P.M. nel quadro della riforma dell’Ordinamento giudiziario, riforma contestata e della quale si discute l’azzeramento, ma che è, per quanto qui interessa, valida ed efficace. L’art. 5 prevede che “il Procuratore della Repubblica mantiene personalmente, ovvero tramite un magistrato dell’ufficio appositamente delegato, i rapporti con gli organi di informazione”. Ed aggiunge che “ogni informazione inerente alle attività della Procura della Repubblica deve essere fornita attribuendola in modo impersonale all’ufficio ed escludendo ogni riferimento ai magistrati assegnatari del processo”. Ed ancora, precisa che “è fatto divieto ai magistrati della Procura della Repubblica di rilasciare dichiarazioni, o fornire notizie agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’ufficio”, sotto pena della segnalazione da parte del Procuratore capo al Consiglio giudiziario per l’esercizio del potere di vigilanza e di sollecitazione della azione disciplinare, secondo quanto previsto dall’ultimo comma della norma citata.
La relazione governativa ha precisato che “spetta al solo Procuratore della Repubblica tenere i contatti con i mass media per fornire la doverosa informazione circa vicende giudiziarie trattate dall’ufficio”.
I commentatori hanno ricordato come per i magistrati si sia sempre ritenuto opportuno evitare dichiarazioni alla stampa su processi che stanno trattando, o nei quali saranno chiamati a qualunque titolo a svolgere la propria funzione.
E’ doveroso per i giudici e procuratori formulare le valutazioni anche critiche su procedimenti ancora in corso, nei quali non siano direttamente interessati, con cautela ed attenzione nel rispetto della verità storica e senza offese gratuite.
Il Consiglio Superiore della Magistratura ha da tempo tenuto presenti le esigenze dell’informazione, affermando che, qualora ragioni di pubblico interesse richiedano chiarezza e trasparenza, anche per rassicurare l’opinione pubblica su un procedimento pendente, è consigliabile che il magistrato incaricato del caso riferisca al capo dell’ufficio, il quale valuterà l’opportunità di una sua dichiarazione ufficiale o di un comunicato stampa, rispettati i limiti del segreto. Ancora “può e deve ritenersi consentito fornire, nelle inchieste giudiziarie di particolare rilievo le precisazioni necessarie per dissipare equivoci e per impedire distorsioni, al fine di contribuire ad una corretta informazione”. Mentre “vanno evitati interventi che possono far dubitare delle imparzialità del magistrato” (e il pubblico ministero è una parte imparziale) e “della sua libertà di giudizio riguardo alla questione sulla quale questi possa essere chiamato a pronunciarsi”.
La riforma delle Procure ha tenuto conto della necessità di assicurare l’impersonalità dell’informazione, di evitare eccessi di protagonismo (magari involontari) e, nel contempo, di garantire le esigenze di sicurezza del magistrato procedente.
Facendo agire il Capo dell’ufficio si fa luogo ad “una presa di posizione ufficiale ed impersonale assai preferibile al coinvolgimento diretto dell’interessato”.
Da quanto è stato possibile apprendere, proprio dai media, presso la Procura della Repubblica di Bologna, già “regolamentata”, la funzione di tramite con i mass media è stata assunta dal Procuratore Capo, così come a Palermo, ad Aosta e a Perugia.
A Verona invece i rapporti con la stampa vengono tenuti dal P.M. di turno.
I problemi che si pongono, sono innanzitutto problemi di una riforma vissuta dalla magistratura come iniqua ed oppressiva, che può quindi indurre ad una applicazione banale e burocratica delle norme sui rapporti con i media.
Al di la di quello che può essere l’atteggiamento psicologico del terzo potere rispetto alla nuova normativa, ciò che inciderà in modo assai significativo sui “rapporti con la stampa” è il carico di lavoro, la carenza di tempo e di risorse e anche, in una certa misura, la carenza di cultura dell’informazione.
Il Capo dell’ufficio (o il sostituto delegato) informerà i giornalisti, ma a monte, chi informerà il capo? Come questi verrà notiziato?
Se al flusso informativo a valle è già stata attribuita la poco lusinghiera natura di velina, a monte vi saranno altri “foglietti”; il Capo della Procura dirà al sostituto che segue l’inchiesta: “devo redigere un comunicato, scrivimi una paginetta sulla quale mi potrò basare”. Oppure discuterà brevemente di un tema che, pur importante dal punto di vista della comunicazione, sarà assolutamente secondario e residuale rispetto agli altri più urgenti doveri di ufficio.
I flussi informativi saranno modesti e poco soddisfacenti, resterà così aperta la caccia, da parte dei cronisti giudiziari, alle notizie.
Forse si otterrà una minore esposizione dei singoli P.M., titolari delle varie inchieste; forse si avrà una qualche riduzione del protagonismo di certi magistrati, anche se taluni sembrano essere una sorta di rubrica fissa del TG regionale o della cronaca locale (e talora nazionale), difficili da eliminare dal palinsesto radiotelevisivo o dalle pagine del quotidiano. Certo, però, il costume e l’abitudine dei giornalisti di inseguire verbali, atti e brogliacci non si perderà o non diminuirà in maniera significativa.
Questa riforma può essere però un’importante occasione per riflettere sulla diffusione e sulla canalizzazione delle notizie relative alle inchieste giudiziarie, sulla esigenza di un vero ufficio stampa, di un press office dei P.M., di un press office del Palazzo di giustizia.
Le amministrazioni pubbliche comunicano: è stato istituito un Ufficio delle Relazioni con il Pubblico, con la brutta sigla di URP.
Anche in virtù di indirizzi a livello comunitario, lo Stato deve informare il cittadino. Lo deve informare su come esso svolge i suoi compiti istituzionali, su come la gente può servirsi delle strutture pubbliche; queste promuovono la propria immagine, forniscono conoscenze sulla propria attività anche per consentire alla gente di valutarla.
La trasparenza e questa attitudine comunicativa, dovrebbero estendersi alle Procure, alla macchina della giustizia, ai Tribunali. La giustizia è un fatto di enorme rilevanza per la collettività, considerate anche le implicazioni politiche di svariate inchieste.
Conoscerne i meccanismi e l’attività è un diritto dei cittadini, a fronte del quale vi deve essere un significativo e limpido flusso di notizie. Tale flusso non può essere per così dire a senso unico, diffuso attraverso i soli comunicati stampa delle autorità, ma va coordinato con la facoltà dei giornalisti di interrogare e conoscere. Occorre dare al reporter la possibilità di porre domande e di avere risposte, di chiedere carte e di verificare.
L’Amico Franco Abruzzo ha ragione: forse è utopistico, ma il giornalista deve essere considerato, al pari delle parti processuali, titolare del diritto ad ottenere copia degli atti, o almeno di taluni essenziali (non più coperti dal segreto).
Questo ovviamente presuppone che i giornalisti abbiano un adeguato bagaglio culturale, capacità di leggere, di interpretare e criticare gli atti.
Franco Abruzzo ha ancora ragione: la preparazione delle nuove leve del giornalismo deve passare per gli studi universitari, direi, anzi, prolungandoli con un master, per quanto qui interessa un master in cronaca giudiziaria o in comunicazione giudiziaria.
Quello tra fonte ed operatore dell’informazione, quello tra il giornalista (mediatore tra la fonte ed il pubblico) e il Palazzo di giustizia (o meglio l’ufficio stampa del Palazzo di Giustizia) deve essere, come detto, un dialogo.
Al Palazzo spetta la decisione di quando comunicare e che cosa comunicare. Al Palazzo tocca decidere quando va imposto un segreto assoluto e radicale (sicuramente doveroso nella prima fase delle inchieste, allorché va protetta appunto l’investigazione) e quando invece il segreto si attenua. Il segreto è altrettanto necessario nel caso in cui si tratti di minori o quando si rischi di “sbattere in prima pagina” non il mostro ma la sua vittima.
Infine, come è doveroso parlare di fatti di rilievo, così è doveroso trascurare quelli bagatellari.
Distinguere le informazioni, individuare quali vanno diffuse e quali no è compito delicato, difficile, forse pericoloso. Ma mi pare impensabile che venga “pubblicizzata” tutta l’attività giudiziaria. Non si farebbe più luogo ad una informazione chiara, precisa e limpida ma vi sarebbe solo un confuso, incomprensibile brusio di notizie. Brusio che diventerebbe assordante, quello che nel gergo della comunicazione si chiama rumore. Nella informazione ad un polo vi è il silenzio, al polo opposto vi è il rumore: entrambi portano ad un difetto di comunicazione. Il suono per essere chiaro e percepibile, non deve essere ovviamente silenzio, ma nemmeno rumore, deve essere individuato ed individuabile. Ecco perchè non si può pretendere di avere informazioni su tutto, ma è necessario focalizzare i temi che meritano attenzione.
Ovviamente questa focalizzazione non può essere “autoritaria”, ma deve nascere dal dialogo, dalla stimolazione dei giornalisti verso l’ufficio stampa del Palazzo di Giustizia per ottenere risposte e dati anche sui casi che, a torto o a ragione considerati bagatellari dalla Procura, hanno, all’opposto, interesse e rilevanza agli occhi del giornalista.
Dunque il reporter, il cronista giudiziario deve poter interpellare e stimolare la Procura a fornire notizie su ogni caso rilevante, il giornalista non si deve appiattire sulle veline. Se egli è “quasi parte” ha diritto di avere copia degli atti quando gli stessi, non sono più segreti, ha diritto di accedere agli stessi di esaminarli di averne estratti per conoscere e per far conoscere. Assumendosi ovviamente la piena responsabilità di questo ruolo di mediazione appunto tra la fonte (in questo caso il documento, non più la persona, non più il comunicato) ed il pubblico.
Glauco Giostra, validissimo docente di procedura penale all’Università di Macerata e studioso dei rapporti tra giustizia e media, ha curato una importante ricerca per il CNR sul processo penale e l’informazione.
Le sue critiche alla costituzione di uffici stampa presso le Procure critiche che si rivolgevano al disegno di legge presentato al Senato nel 1998, non possono essere ignorate.
La ricerca, se cita i casi del Belgio (dove a Bruxelles si è istituto una sorta di ufficio stampa del Tribunale) e della Germania (dove vi è un magistrato addetto alle comunicazioni), conclude però che il press office della Procura costituirebbe una innovazione inutile e dannosa. Contribuirebbe a spostare il baricentro del trial by newspaper, il baricentro del processo mediatico, a favore dell’accusa.
Pur ritenendo preziose le osservazioni di Giostra, pur con tutti i dubbi e le doverose perplessità, la domanda che dobbiamo continuare a porci è, se davvero non possiamo fare nulla e dobbiamo stare alla finestra assistendo allo stillicidio, anzi, a non occasionali scrosci temporaleschi, di notizie elargite o sfuggite senza trasparenza alcuna, senza responsabilità alcuna, con il massimo della soggettività delle scelte dai pubblici ministeri.
Non possiamo farlo perché vi sono due valori nella nostra Costituzione, quello della libertà di informazione e quello del giusto processo, che dobbiamo rispettare ma soprattutto condurre a sintesi. Il processo è tanto più giusto quanto più sottoposto al controllo sociale e giusto a condizione che vi sia una giusta informazione sul processo.
Non possiamo trascurare il problema, contentarci dell’attuale stato dell’arte o, peggio, di una applicazione dell’art. 5 del decreto legislativo n. 106 burocratica e pigra. Non possiamo farlo per gli obblighi che abbiamo verso il Consiglio di Europa.
La raccomandazione del Comitato dei Ministri del 10 luglio 2003, n. 2003/13, sulla diffusione di informazioni attraverso i media in relazione ai processi penali è poco conosciuta, ma di straordinario interesse.
Il Comitato dei Ministri Europei ha raccomandato alle associazioni professionali dei giornalisti di elaborare le linee direttrici e le norme etiche e professionali per la categoria con speciale riferimento ai reportages relativi ai processi penali. Ha raccomandato di rispettare in tali reportages la presunzione di innocenza a favore dei sospettati e degli accusati, sino a quando la loro colpevolezza non sia stata accertata da un Tribunale. Di rispettare la dignità, la sicurezza e, salvo nel caso in cui l’informazione sia di interesse pubblico, il diritto alla privacy (alla riservatezza sulla sfera intima), delle vittime, dei denuncianti, dei sospettati, degli accusati, anche delle persone riconosciute colpevoli e dei testimoni, nonché delle loro famiglie. Di evitare di arrecare pregiudizio alle indagini penali e alle procedure giudiziarie. Infine, di assegnare i reportages sui processi penali a giornalisti che abbiano una adeguata formazione in tale materia.
Il principio da cui prende le mosse la raccomandazione è quello secondo il quale la libertà di espressione e di informazione costituisce uno dei fondamenti essenziali di una società democratica. L’importanza dei reportages realizzati dai media sui procedimenti penali nasce dalla necessità di rendere visibile la funzione dissuasiva del diritto penale e di permettere al pubblico di esercitare il diritto di critica sul funzionamento del sistema penale.
Venendo ai vari principi contenuti nell’annesso alla raccomandazione, il pubblico deve poter ricevere informazioni sulle attività delle Autorità giudiziarie e dei servizi di polizia attraverso i media. I giornalisti devono di conseguenza poter liberamente rendere conto e commentare il funzionamento del sistema giudiziario penale.
L’informazione fornita dall’Autorità giudiziaria e dai servizi di polizia deve essere assolutamente veritiera. Può anche basarsi su “presunzioni ragionevoli”, ma in questo caso dovrà essere chiaramente manifestato ai media che non si hanno ancora certezze ma solo ipotesi sia pure confortate da seri indizi.
Deve essere garantita la parità di accesso all’informazione giudiziaria, evitando che vi siano discriminazioni tra i giornalisti e favoritismi a vantaggio di questo o di quel reporter.
Le Autorità giudiziarie e la polizia debbono informare i media attraverso comunicati stampa o conferenze stampa tenute da agenti autorizzati o mediante altri simili “messaggi”.
Nell’ambito dei procedimenti penali di pubblico interesse o che attirano particolarmente l’attenzione della collettività, l’Autorità giudiziaria e la polizia devono informare i media dei loro atti essenziali, a meno che ciò non arrechi pregiudizio alla segretezza dell’istruzione o alle indagini ovvero ritardi o impedisca il conseguimento di risultati investigativi o processuali.
Nel caso di processi penali che si protraggano per un lungo periodo, l’informazione deve essere fornita regolarmente nel tempo.
Nè i magistrati, nè i poliziotti possono sfruttare le informazioni per fini di lucro o di altro personale vantaggio.
L’informazione deve essere mirata alla corretta applicazione della legge.
Va tutelata –come detto- la vita privata sia delle persone sospettate, accusate o condannate, sia delle altre parti del processo. “Una protezione particolare deve essere offerta alle parti che sono minori di età o alle altre persone vulnerabili, alle vittime, ai testimoni ed ai familiari delle persone sospettate, accusate e condannate”.
Deve venire assicurato con speciale cura l’anonimato delle persone che possono patire ingiustificati pregiudizi dalla divulgazione delle informazioni.
Ogni persona che è oggetto di resoconti non corretti o diffamatori da parte dei giornali in materia di processi penali deve disporre di un diritto di rettifica o di replica. Il diritto di rettifica deve essere possibile anche nei confronti dei comunicati stampa, contenenti informazioni non corrette, diffusi dalla magistratura o dalla polizia.
Nei procedimenti penali in generale e in particolare in quelli che coinvolgono dei giudici popolari, la magistratura e la polizia devono astenersi dal fornire pubblicamente informazioni che comportino il rischio di un’influenza negativa sulla equità sostanziale del processo. Va cioè tutelata l’ingenuità o l’imparzialità del giudice, vanno evitate “anteprime”, con quei processi mediatici, ai quali ci siamo abituati di recente con casi giudiziari diventati spettacoli sotto il pretesto dell’informazione.
La raccomandazione europea si occupa anche della ammissione dei giornalisti alle udienze e alla lettura delle sentenze, con particolare riferimento ad uno spazio loro riservato nelle aule di udienza. I reportages in diretta e le registrazioni da parte dei media nelle aule di giustizia non devono essere possibili a meno che (e nella misura in cui) la legge e l’Autorità giudiziaria lo permettano esplicitamente.
I reportages in questione possono venir realizzati soltanto se non vi sia alcun serio rischio di una influenza indebita sulle vittime e sui testimoni, sulle parti dei procedimenti penali, sui giudici popolari e sui magistrati.
L’Autorità giudiziaria deve mettere a disposizione, al momento opportuno, e su semplice richiesta dei giornalisti, i calendari delle udienze, i capi di accusa e tutte le altre informazioni pertinenti per la cronaca giudiziaria. “I giornalisti dovranno essere autorizzati senza discriminazione ad effettuare o ricevere copia delle sentenze rese pubblicamente”, tali sentenze potranno essere diffuse al pubblico.
Infine vanno protetti i testimoni la cui identità non va divulgata, a meno che il teste non vi abbia preventivamente acconsentito, o quando l’identificazione del medesimo è di interesse pubblico o la testimonianza ha già avuto luogo in pubblico. L’identità dei testimoni non va però mai divulgata se ciò mette in pericolo la loro vita o la loro sicurezza.
Confido che mi venga perdonata questa puntigliosa e forse noiosa analisi; essa però contiene un importante “decalogo” sul diritto dei media di avere, in condizione di uguaglianza, notizie sui processi e di instaurare un franco, leale ed esaustivo dialogo con l’Autorità giudiziaria. Proprio in virtù della raccomandazione del Consiglio di Europa è doveroso creare quel flusso canalizzato ed ordinato di informazioni sulla giustizia di cui ho detto. Il flusso deve essere “interattivo”, fatto dalle notizie date dai magistrati e dalle domande dei giornalisti, domande che esigono risposta, che non possono restare inevase.
L’informativa consta di comunicati ma deve comprendere, quando è possibile, anche gli atti ostensibili al giornalista, che ha diritto di sapere e di leggere.
Alle copie clandestine dei verbali, alle copie abusive degli interrogatori, alle copie contrabbandate dei brogliacci, va contrapposto il diritto del giornalista di acquisire documenti e conoscere carte processuali.
Il giornalismo investigativo deve rinascere, può essere giornalismo investigativo sul campo, ma anche, direi soprattutto, giornalismo investigativo sui fascicoli e sugli atti dei processi.
Il mestiere del giornalista sarà ancor più impegnativo e faticoso, dovrà essere attento agli equilibri tra accusa e difesa, ma sarà un mestiere più ricco e dovrà essere più responsabile.
Questo per la dignità del lavoro del reporter, ma anche per la dignità del magistrato e soprattutto, forse un po’ retoricamente, per la dignità della giustizia. Corso Bovio
(Avvocato penalista del Foro di Milano)