Prospettato il reato di peculato nell’esercizio delle funzioni pubbliche per gli internauti cronici
Così si è pronunciata la Corte di Cassazione, che ha annullato, accogliendone l’appello, l’ordinanza del Tribunale di Bari, che aveva sospeso il provvedimento attraverso il quale era stata disposta la sospensione dall’esercizio dal pubblico servizio un dipendente del Comune di Trani, al quale era stato contestato il reato di peculato per essersi servito del computer dell’ufficio per usi personali. In particolare, l’imputato si serviva della rete elettrica e informatica del comune per navigare, tramite appunto il pc dell’ufficio, su siti non istituzionali, scaricando dati e immagini (prevalentemente di natura pornografica) non inerenti alle mansioni comunali attribuitegli. Tale comportamento, a dire dell’accusa, avrebbe costituito la fattispecie criminosa di cui all’art. 314 c.p., che dispone “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da tre a dieci anni”. Tale prospettazione, invero, era stata respinta in sede di appello promosso dall’imputato dal Tribunale di Bari, il quale riteneva la mancanza di gravi indizi di colpevolezza nei confronti dell’imputato e, a sostegno della propria decisione, affermava come la ratio del reato di peculato fosse la tutela del patrimonio, sicché, tenuto conto del fatto che per l’uso della rete elettronica e informatica il comune pagasse un fisso, indipendente dell’uso effettivo, non poteva assumersi realizzata la fattispecie criminosa di cui all’art. 314 c.p. nei confronti del dipendente comunale. La Corte di Cassazione, invece, sull’impugnazione del Procuratore della Repubblica del Tribunale di Bari, ha ritenuto, che con il reato di peculato non solo si andava a offendere il patrimonio della pubblica amministrazione, ma anche il buon andamento degli uffici della medesima, e dunque il comportamento dell’indagato, a prescindere dal costo per l’uso della rete elettronica e informatica, integrava il reato in argomento. In ogni caso, argomentava la Consulta, all’epoca dei fatti, non era assolutamente stato accertato che il Comune di Trani pagasse un fisso per l’utilizzo della rete, sicché era presumibile che il relativo costo corrispondesse all’effettivo uso della stessa, e, se così fosse stato, il patrimonio della pubblica amministrazione sarebbe stato certamente offeso dalla condotta del dipendente comunale. Definitivamente pronunciando, dunque, la Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata e rinviava al Tribunale di Bari per il riesame della vicenda de qua. (D.A. per NL)