Dodici anni e più dopo l’emanazione della prima normativa sull’argomento (Delibera 216/00/CONS), si torna a parlare di rendere disponibile ai consumatori un singolo apparecchio che sia in grado di ricevere tutte le piattaforme televisive digitali, libere o ad accesso condizionato: ovvero del mitico decoder unico, cavallo di battaglia delle associazioni dei consumatori e bestia nera di operatori e regolatori.
Nel frattempo la situazione si è notevolmente complicata, complice l’evoluzione tecnologica che, soprattutto nel nostro paese, ha tempi inarrivabili per la burocrazia. Così, se all’inizio degli anni duemila si parlava solo di piattaforme satellitari, si sono poi aggiunte quelle digitali terrestri, e infine è arrivata internet e la televisione sul web. Fino a quando si è parlato solo di standard DVB, l’unificazione tra ricevitori satellitari e terrestri era impresa tecnicamente facile. Ciò nonostante, di decoder unici se ne sono visti veramente pochi, mentre è proliferata la popolazione di scatolette volte ognuna alla decodifica preferenziale di questa o quella pay-tv. Con l’avvento della rete, il paradigma è completamente cambiato: IP e Web TV comportano l’adozione di tecnologie di trasmissione completamente diverse e dei più disparati sistemi di codifica e controllo degli accessi. Oggi l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), dopo un anno dall’annuncio di affidamento alla Fondazione Ugo Bordoni dell’incarico di studiare la classificazione dei decoder, ha annunciato di aver predisposto una nuova serie di “etichette” di qualità, che troveremo prossimamente apposte sui prodotti atti alla ricezione dei programmi televisivi. La differenza rispetto ai precedenti sistemi di marcatura, in particolare al noto “bollino” proposto dall’associazione di emittenti DGTVi, sta in due aspetti principali: innanzitutto il carattere pubblico della classificazione Agcom, che almeno teoricamente non è influenzata dai produttori di hardware e contenuti; poi, l’accento sulle caratteristiche multipiattaforma dei dispositivi. Quest’ultima caratteristica vorrebbe riportare al centro dell’attenzione degli utenti, frastornati dalla molteplicità di offerte dei vari operatori, la possibilità di accedere ai contenuti indipendentemente dal canale di distribuzione e dalle politiche di accesso. L’impresa non sarà comunque facile, dato che rimane una discreta dose di incertezza nelle definizioni dei bollini. Una su tutte: la prescrizione di adottare (per le classi dalla 2 alla 3) “almeno due” tra le quattro piattaforme definite, ovvero digitale terrestre, satellite, IP TV e Web TV. Si tratta di una scelta che facilita notevolmente i produttori, che potranno tranquillamente continuare a produrre decoder separati per lo standard DVB (T-S) e per la rete, potendo comunque fregiarsi dei bollini di qualità, mentre sicuramente non aiuta il consumatore tecnicamente poco evoluto ad effettuare una selezione consapevole. Solo la classe 1 prevede l’adozione di almeno tre piattaforme, prefigurando una categoria di decoder “quasi” universali che però, si suppone, avranno un costo non certo alla portata di tutte le tasche. Anche la definizione di “servizi interattivi” fa riferimento al collegamento ad internet solo in termini opzionali, quando è ormai evidente che l’erogazione dei suddetti servizi tramite la sola piattaforma televisiva, nata già obsoleta ai tempi dell’introduzione sul mercato dei primi decoder, è ora stata definitivamente abbandonata causa totale disinteresse degli utenti. Altri elementi di distinzione tra le varie classi sono la definizione (HD o SD), il numero dei sistemi di accesso condizionato disponibili, la presenza di uno slot CI (Common Interface) e dell’EPG (Electronic Program Guide). I nuovi “bollini”, peraltro, tra poco saranno rivisti: si è appena conclusa la consultazione pubblica su un provvedimento che emenderà la Delibera 255/11/CONS (di definizione dei criteri di classificazione), aggiungendo il segno “+” al numero della classe, in base alla presenza della tecnologia DVB-T2 o DVB-S2 con codifica MPEG-4. Ciò a seguito della Legge 44/2012 che impone, a partire da gennaio 2015, la presenza di tali standard su televisori e decoder. Insomma, la “sofferenza” dei teleutenti, nonostante gli interventi (sempre tardivi) degli organismi di regolazione, non è destinata a finire presto: l’evoluzione tecnologica e le leggi di mercato sono fattori che continuano ad essere strutturalmente in contraddizione con l’idea stessa del decoder universale. (E.D. per NL)