Stampa e giornalisti sono termini prossimi alla pensione? Secondo lo studio di Casagit (Cassa Autonoma di Assistenza Integrativa dei Giornalisti Italiani), sembrerebbe di sì: l’età media dei giornalisti è infatti salita da 47 a 58 anni. Il dato emerge dall’analisi della popolazione assistita allegata al bilancio 2017 approvato nei giorni scorsi dal Consiglio di amministrazione dell’ente.
«Invecchiare mediamente di undici anni in dieci – sottolinea nella sua relazione il Presidente Daniele Cerrato – ci racconta tre cose: la mancanza di un vero ricambio generazionale nella nostra categoria; l’innalzamento dell’età in cui si ottiene il primo contratto di lavoro; e, unica notizia buona, l’aumento dell’età media dei colleghi pensionati». «A concorrere alla frana occupazionale che continuiamo a registrare – si legge nelle considerazioni contenute nei documenti di bilancio – sono stati ancora contratti a termine non rinnovati e licenziamenti. Il calo degli iscritti prosegue».
Uno scenario inquietante che però potrebbe anche avere una diversa chiave di lettura: più plausibilmente non è il fascino dell’attività in sé ad essere diminuito, quanto quella di svolgerla in un sistema ordinistico e codificato.
E’ infatti fuor di dubbio che i giovani scrivono ancora; anzi, se vogliamo, lo fanno più di prima (anche se indubbiamente peggio, sotto il profilo linguistico classico).
Solo che non lo fanno più su testate registrate presso il Registro Stampa dei tribunali, ma sui social e sui blog, quindi in un sistema che sfugge alla lente d’ingrandimento degli organismi di controllo della professione giornalistica, perlomeno quanto a dimensioni del fenomeno e sistemi di remunerazione.
Ma è giornalismo questo? Forse sì, forse no.
Probabilmente è un tertium genus, che consente alla società di fare un passo avanti nell’ambito dell’accesso all’informazione.
Ma allo stesso tempo ci porta indietro quanto a qualità e controllo della stessa.