Non costituisce piu’ reato la detenzione di supporti musicali privi del contrassegno S.I.A.E.

Corte di Cassazione – sezione III penale – Sentenza 12 febbraio-2 aprile 2008, n.13816


Le novita’ di Diritto & Diritti del 22/05/2008

Mediante alcune apprezzabili sentenze, la giurisprudenza di legittimità si è di recente occupata della specificazione degli effetti penali conseguenti ad una nota pronuncia della Corte di giustizia delle Comunità europee (sentenza 8 novembre 2007 in proc.C-20/05, Schwibbert), secondo la quale le disposizioni nazionali susseguenti all’entrata in vigore della direttiva comunitaria n.189 del 1983 (leggi sul diritto d’autore), che impongono la necessaria apposizione del contrassegno SIAE ai supporti informatici, rappresentano invero una mera “regola tecnica” che, per rendersi concretamente operante e opponibile ai terzi, deve ineluttabilmente essere notificata alla Commissione UE.
Da ciò consegue che in difetto della predetta notificazione, l’eventuale instaurazione di un procedimento penale per il reato di cui all’art.171-ter, comma 1, lettera d) della legge sul diritto d’autore n.633/41, che punisce appunto, tra l’altro, la condotta di detenzione di supporti privi del regolare contrassegno Siae, non potrà che sfociare in un giudizio finale di assoluzione “perché il fatto non sussiste”.
La decisione in commento, nella specie, si inserisce in questo angolo di visuale alla luce della sentenza emessa dalla Corte di giustizia europea, optando per la deresponsabilizzazione delle condotte afferenti la norma di legge appena citata, qualora il reato effettivamente in contestazione preveda quale suo elemento costitutivo tipico, l’assenza del prescritto bollino Siae.
La Cassazione in particolare, ha dapprima inteso fotografare le argomentazioni sviluppate dalla predetta sentenza Schwibbert, in base alla quale, successivamente all’entrata in vigore della direttiva CEE n.159/83 istitutiva della procedura di informazione comunitaria nell’ambito delle normative e delle regolamentazioni tecniche, la necessaria apposizione del contrassegno Siae sui dischi compatti riproducenti opere d’arte figurative in funzione della susseguente commercializzazione nei paesi membri dell’UE, realizza una semplice“regola tecnica”, che non può assolutamente essere fatta valere nei confronti dei privati qualora non sia stata previamente notificata alla competente Commissione della Comunità europea.
Il significato di “regola tecnica” invero, era già stato fornito da altra direttiva (98/34/CEE), come “requisito di un prodotto la cui osservanza è obbligatoria, de iure e de facto, per la sua commercializzazione”.
Dopo essersi ulteriormente soffermata sulle varie disposizioni legislative stratificate nel tempo in materia di diritti d’autore, la Cassazione ha ulteriormente chiarito di non poter aderire all’enunciato difensivo espresso dal Governo italiano e dalla Siae, parti in causa dinnanzi alla Corte di giustizia europea, secondo cui il contrassegno obbligatorio sulle opere dell’ingegno era stato costituito molto tempo prima dell’entrata in vigore della direttiva CEE del 1983, precisamente con la legge n.633 del 1941 e con il R.D. 18 maggio 1942, n.1369, mentre le modifiche intervenute successivamente con le correzioni legislative apportate nel 1987 e nel 1994, null’altro hanno potuto istituire se non semplici “adeguamenti ai processi tecnologici intervenuti nel frattempo nella produzione dei supporti”.
A ben vedere infatti, secondo l’insindacabile giudizio degli ermellini le richiamate disposizioni di cui agli articoli 123 della legge 633/41 e 12 del R.D. 1369/42, regolano solamente l’obbligo di apposizione del contrassegno Siae su supporti di tipo cartaceo (stampa) di opere dell’ingegno di qualsiasi tipo (letterale, musicale, figurativo, ecc.), stabilendo altresì l’obbligo delle associazioni degli editori di applicarlo tramite la Siae su ogni esemplare, a meno che lo stesso autore non vi provveda personalmente apponendovi personalmente la propria sottoscrizione autografa.
Ciò tuttavia, deve inevitabilmente comportare un mutamento della “regola tecnica” – da assoggettare nuovamente alla valutazione della Commissione – qualora il supporto divenga da cartaceo a magnetico, plastico, ovvero di altro materiale e, di conseguenza, venga a variare il sistema di fissazione dell’opera sul supporto medesimo (fonoregistrazione, videoregistrazione, ecc.).
La decisione della Corte di giustizia europea nel caso Schwibbert, in buona sostanza, ha finito per apportare un notevole influsso sulla tematica della tutela penale dei diritti d’autore, posto che la stessa ha istituzionalizzato alcuni fondamentali principi, quali:
a) la riconduzione dell’obbligo di applicazione del contrassegno Siae nella sola cerchia delle “regole tecniche” che, successivamente alla citata direttiva CEE n.189 del 1983, debbono essere comunicate alla Commissione europea onde permetterne il vaglio di conciliabilità con i principi comunitari della libera circolazione delle merci;
b) l’inapplicabilità verso i privati dell’obbligo di contrassegnare detti supporti, in difetto della comunicazione obbligatoria alla predetta Commissione di ogni istituzione del bollino Siae avvenuta successivamente all’entrata in vigore della direttiva 189/1983, per i supporti di qualsiasi tipo (cartaceo, magnetico, plastico) e contenuto (musicale, figurativo, letterario);
c) la mancata integrazione, di conseguenza, delle fattispecie penali nelle quali l’assenza del contrassegno Siae, in epoca successiva alla direttiva 83/1989/CEE e non comunicato alla Commissione europea, rappresenti elemento costitutivo tipico del reato;
I giudici di legittimità inoltre, per compiutezza, hanno inteso aggiungere che la dimostrazione inerente la circostanza che l’obbligo dell’apposizione del contrassegno Siae sia precedente alla direttiva del 31 marzo 1983, n.189, ovvero – se successiva – che sia stata comunque comunicata alla Commissione europea, incombe in ogni caso alla pubblica accusa tutte le volte in cui detto contrassegno venga delineato come elemento negativo della fattispecie penale in contestazione, non potendo in senso contrario sostenersi alcun giudizio di responsabilità a carico dell’imputato.
A dire il vero, i giudici supremi hanno chiarito che in tali situazioni il fatto tipico esposto dalla norma continuerà ad essere preveduto come reato, ma verrà a difettare in esso l’elemento costitutivo materiale rappresentato dalla inosservanza dell’obbligo di contrassegnare i supporti, che non esisterà più come obbligo.
L’uso illecito di supporti validi in base al diritto comunitario e sprovvisti del contrassegno Siae, continua dunque ad essere apprezzato come reato; tuttavia, qualora i supporti privi del contrassegno Siae non siano ritenuti validi per il diritto comunitario, il fatto di reato non può dirsi sussistere.
La fattispecie penale in tema di diritto d’autore che prevede il contrassegno Siae quale elemento negativo, è quella di cui all’art.171-ter, lettera d) della legge 633/41 (così come modificata dalla legge n.248 del 2000), che sanziona chiunque detenga per la vendita supporti musicali, audiovisivi, cinematografici, ecc., mancanti del contrassegno Siae.
Non può invede considerarsi tale quella di cui all’art. 171-ter, lettera c) della stessa legge sul diritto d’autore (anch’essa come modificata dalla l.248/00), non prevedendo come elemento tipico ed essenziale l’assenza del contrassegno Siae e punendo solamente chi detenga a fini commerciali supporti illecitamente duplicati o riprodotti, pur non avendo concorso alla duplicazione o alla riproduzione.
La mancata apposizione del contrassegno in definitiva, potrà essere eventualmente stimata quale “mero indizio” della illecita attività di duplicazione o riproduzione, ma giammai potrà assumere rango di elemento costitutivo della condotta penalmente sanzionata, se non confortato da ulteriori elementi indiziari gravi e concordanti.
Di per sé sola l’assenza del contrassegno non potrà dunque avere valore di prova, correndosi il rischio altrimenti di seguitare a conferire al predetto contrassegno la specifica qualità di garanzia essenziale dell’originalità e autenticità dell’opera dell’ingegno, nonostante il difetto di comunicazione alla Commissione europea e, di riflesso, la necessaria inopponibilità ai privati. (Si veda: Guida al diritto, 19/08).

Avv. Alessandro Buzzoni – Rimini

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