Settimana 4.0 per la radio, con in testa argomenti caldissimi come le piattaforme visual, in particolare DTT e le nuove iniziative in tema di aggregatori. La visual radio DTT, ormai uscita dalla sua fase sperimentale è un must have per la radiofonia: non esserci significa perdere il 55% dell’utenza indoor che non dispone (più) di ricevitori FM e che per ora utilizza marginalmente device smart per fruire delle trasmissioni.
Così si spiega l’incessante ingresso di nuovi canali, nazionali (come Radio MonteCarlo e RMC Sport Network) e locali, non necessariamente diffusi in FM (è il caso di brand usciti dalla modulazione di frequenza e ritornati in spolvero sul DTT).
Lato IP, le novità riguardano invece la decisione di RAI e di non meglio precisati altri editori nazionali (di sicuro si sa solo della partecipazione di RDS) di realizzare un aggregatore comune per unire tutti i flussi streaming radiofonici italiani (pare con tecnologia licenziata dall’inglese Radio Player).
Una soluzione che però potrebbe scontrarsi con la storica contrarietà italiana alle alleanze di comparto (gli esempi nell’associazionismo sindacale, nei consorzi DAB, ma anche nelle convivenze forzate in DTT e nelle indagini d’ascolto non si contano), con ricadute pericolose su quelle reattività ed efficienza che l’evoluzione del medium esige.
La motivazione che spinge RAI a coltivare soluzioni di multiproprietà di un aggregatore sarebbero da ricondurre al timore di affidare a terzi la veicolazione di propri contenuti.
Un chiaro retaggio dell’epoca analogica, del controllo della rete diffusiva e quindi di quella rendita di posizione di cui hanno sin qui goduto i broadcaster.
O, sotto un’altra ottica, la sindrome di TuneIn che ha colpito altri (in verità pochi) editori europei.
Un atteggiamento molto pericoloso in una fase dell’evoluzione che impone la massima presenza su tutte le piattaforme, come dimostrano le recenti aperture di Sky ai contenuti di Mediaset, DAZN e Spotify, queste ultime due addirittura sulla propria piattaforma IP, cioè una funzione teoricamente inutile, visto che entrambe sono ben presenti con le proprie icone sulle medesime smart tv, ma che si spiega con il target di trattenere l’utente non più solo sul mero vettore (in questo caso appunto la smart tv), bensì sulla stessa app.
Una prospettiva che impone attente riflessioni strategiche, perché il futuro sarà costituito da tre direttrici: contenuti, rintracciabilità e fidelizzazione.
Concetto ben chiaro ai criteri di condizionamento delle abitudini dell’utente che contraddistinguono l’offerta di Netflix, che, infatti, fa di tutto per impedire che i propri abbonati una volta entrati escano dalla sua app.