Un noto provider di servizi internet con sede in USA, operante anche in Italia, si è ultimamente rifiutato di fornire dati di traffico telematico alla Procura della Repubblica di Milano ai fini dell’identificazione degli autori di un pestaggio, documentato dagli stessi con un video pubblicato su internet.
Motivando il proprio ostruzionismo, l’Internet Service Provider asserisce di essere assoggettato esclusivamente alla normativa ed alle autorità del paese nel quale ha sede. La legittimità ed il fondamento dalla richiesta avanzata dall’autorità giudiziaria italiana, invero, è rinvenibile nella normativa di recepimento della direttiva europea 2006/24/CE sulla "data retention" (d.lgs. 109/2008), la quale, semplificando, impone – in parziale e limitata deroga al Codice della Privacy, peraltro novellandone l’art. 132 – specifiche disposizioni in materia di conservazione dei dati di traffico telefonico e telematico per un periodo di tempo limitato e funzionale a ragioni di ordine pubblico. In questo intervallo temporale, tali informazioni possono essere acquisite dall’autorità giudiziaria. In proposito, per completezza, è opportuno dare conto anche dell’esistenza della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica del 2001, ratificata dal Parlamento nel 2008, che interviene sulla normativa penale – sia sostanziale che processuale – aprendo le porte del nostro sistema giuridico a fattispecie e procedure maggiormente adeguate alle contingenti esigenze di controllo della rete. L’ISP "reticente", per tornare al nostro discorso, offre i propri prodotti virtuali agli utenti nazionali che ne fruiscono per i propri scopi più disparati. Come accade in moltissimi casi, internet è il mezzo che in tempo reale offre servizi confezionati a migliaia di chilometri di distanza e, come noto, presta il fianco ad una sorta di consacrazione di vastissime aree virtuali ai limiti della legalità. Gli organi nazionali, per ottenere il genere di dati richiesti dagli inquirenti ambrosiani, dovrebbero necessariamente percorrere la strada della rogatoria internazionale. Scontata ci sembra la considerazione che, un balzello del genere, male si attaglia al continuo evolversi della tecnologia web che, giocoforza, richiede un sempre più attento, severo e soprattutto tempestivo controllo da parte delle pattuglie di polizia on-line. Il panorama giuridico di riferimento, per le sopraesposte considerazioni, prospetterebbe il proliferare di piattaforme internet che, al di fuori dei loro confini nazionali, costituirebbero l’Eldorado dei più scaltri malintenzionati. Il discorso cambierebbe se si chiarisse, unanimemente, quando un servizio di comunicazione elettronica sia da ritenersi prestato in Italia. Come evidenziato opportunamente da Gabriele Faggioli e Andrea Reghelin – entrambi partner della società di consulenza legale ISL Consulting – "…in considerazione della globale accessibilità di un sito internet, non sarebbe né ragionevole, né fattibile, richiedere ad un fornitore extracomunitario di servizi di comunicazione elettronica rivolti prevalentemente ad un pubblico nazionale, di rispettare tutte le diverse normative degli stati potenzialmente raggiungibili dagli stessi" (Cfr. Italia Oggi, 09/12/2009, p. 20); però, se il servizio fosse fornito in maniera sistematica e continuativa e specificatamente rivolto a cittadini italiani o comunitari – sempre secondo i due esperti – il ragionamento sopra esposto verrebbe vanificato dalla necessaria sottoposizione dell’ISP agli obblighi previsti dall’ordinamento dello Stato nel quale trovino ospitalità. Allo stato attuale della normativa di settore, pur ritenendo apprezzabili gli sforzi compiuti dal nostro legislatore per adeguare il sistema giuridico interno al mutamento delle circostanze in cui possa trovare accoglienza la consumazione di un reato, ci sembra necessario l’ulteriore impegno legislativo volto alla futura approvazione di una normativa che chiami in causa anche i providers stranieri. Apportare contromisure giuridiche alla stregua di quelle previste per il gioco d’azzardo on-line, probabilmente servirebbe a rimuovere di molte zone grigie della rete. Comminare, come per il "gamblig", la sanzione dell’oscuramento all’operatore straniero che si rifiuti di adempiere agli obblighi previsti per quello nazionale, a nostro avviso, genererebbe un immediato e costruttivo dibattito (anche transfronatliero) su nuovi metodi e modalità di cooperazione internazionale in questa complessa materia. Quantomeno eviterebbe il perpetrarsi di ulteriori abusi che potrebbero essere stroncati sul nascere.(Stefano Cionini per NL)