Il ministro Paolo Gentiloni non ha dubbi: «La riforma della tv e una nuova legge sul conflitto di interessi sono tra le ragioni stesse che giustificano l´esistenza del governo Prodi, e se il governo fallisse verrebbe meno ad una delle sue ragioni fondamentali». Avanti tutta perciò, per l´uomo che dirige il sistema delle Comunicazioni trattasi di priorità assolute, strettamente intrecciate, ma non per questo armi puntate contro Berlusconi, visto che «nel cammino parlamentare le soluzioni delle due questioni vanno tenute accuratamente separate». E Gentiloni, che è uno dei big della Margherita, lancia poi un appello sul partito democratico: «Vedo in giro troppo scetticismo. Non possiamo permettercelo. Convochiamo per la primavera prossima, e in contemporanea, i congressi dei Ds e dei Dl per aprire subito la fase costituente del nuovo partito». Ma sotto quale tetto comune, in Europa? «Oggi la socialdemocrazia è largamente superata. Come hanno detto in questi giorni personaggi di spicco come Anthony Giddens, John Loyd, Giuliano Amato. Il campo democratico non è circoscrivibile al Pse, serve uno strumento nuovo».
Ministro Gentiloni, cominciamo dal conflitto di interessi. Ma com´è scattata questa improvvisa accelerazione?
«Nessuna accelerazione. Il governo ha di fronte a sé tanti obiettivi impegnativi, complessi, il programma dell´Unione è lungo 280 pagine. Ma, fra tutte, sono due o tre cose che danno il senso della nostra azione, che giustificano in fondo la nascita e la vita del governo Prodi. Come la nuova legge sul conflitto di interessi e la nuova legge sulla tv».
E perché legate strettamente l´una all´altra?
«Perché sono alla base delle anomalie che da 15 anni vanno risolte, per poter chiudere la lunghissima transizione italiana e diventare finalmente un paese normale».
Secondo il centrodestra invece legare le due questioni è la prova che in realtà il centrosinistra punta solo a liberarsi di Berlusconi.
«Che siano, storicamente, intrecciate, è innegabile. Nei primi anni Novanta, con la legge Mammì, si certifica l´anomalia tv. Poi, di lì a tre anni, il protagonista di questa situazione, decide di scendere in campo, di lanciarsi in politica. Ecco come Silvio Berlusconi ha riassunto in sé le due vicende».
E adesso deve essere «punito»?
«Nessuna volontà punitiva, come del resto è stato già detto. I due aspetti sono storicamente intrecciati ma sul piano parlamentare vanno accuratamente tenuti distinti. La riforma televisiva riguarda la liberalizzazione di un settore, il conflitto di interessi l´etica pubblica. Insomma, non è che siccome c´è il conflitto di interessi allora vanno punite le tv di Berlusconi. Sarebbe una sciocchezza».
Il governo ha presentato un proprio progetto perché vuol colpire più duro rispetto al testo in commissione?
«Non si tratta di colpire nessuno. Il testo dell´Unione è lo stesso del gennaio del 2002, quello che portava la firma di Rutelli e Fassino, aggiornato per abrogare i punti della legge Frattini intervenuta nel frattempo. Un buon testo, migliorabile».
Ma il blind trust sarà sufficiente?
«Certo, di fronte all´enormità del problema è difficile trovare una soluzione perfetta. Una cosa è il blind trust nei casi di una persona che ha una certa disponibilità patrimoniale (azioni, beni mobiliari) e che si affida al «fondo cieco». Vedi quel che ha fatto, pur non essendo obbligato, Mario Draghi quando è diventato il governatore della Banca d´Italia. Ben altra cosa quando ci si trova di fronte ad un grandissimo impero industriale, dove è difficile che il fondo cieco sia cieco davvero. Riconosco la limitatezza di queste soluzioni, ma al tempo stesso vorrei che il centrodestra riconoscesse che la Frattini è acqua fresca».
Passiamo all´altro aspetto, la riforma tv. Prodi sostiene che è pìù complicata la partita Rai che la missione in Libano.
«Quella del presidente Prodi era naturalmente una semplice battuta ma non c´è dubbio che le nomine, da sempre croce e delizia del mondo giornalistico e politico, siano rese complicate da un fatto mai accaduto in 51 anni di Rai. E cioè che il direttore generale non sia certo di avere una maggioranza nel cda. Un fatto inconcepibile per un´azienda».
Ministro, ha annunciato entro settembre la sua legge per superare la Gasparri, e il duopolio. Il centrodestra minaccia le barricate.
«Mi auguro piuttosto un dialogo, e che alcune componenti della Cdl, che da sempre mostrano di condividere una linea di liberalizzazione della tv – penso all´Udc ma non solo – confermino in Parlamento questa impostazione».
Il presidente Mediaset Confalonieri teme di ricevere botte in testa dalla nuova legge.
«Non confonderei la concorrenza con le botte in testa. Da quando 30 anni fa la Corte costituzionale abolì il monopolio, la qualità della tv grazie alla concorrenza è migliorata».
Ma Confalonieri protesta perché «grande è bello tranne che per Berlusconi», come dimostra il caso Murdoch.
«I grandi gruppi, nell´economia globale, non possono essere monopoli domestici. Se il signor Murdoch traesse forza solo da un mercato australiano protetto, non andrebbe molto lontano».
Un´ultima questione, sul fronte centrosinistra. Perché si è fermata la corsa del partito democratico?
«Anch´io percepisco questo clima. Siamo fermi e dobbiamo ripartire. Con iniziative se vogliamo semplici ma di un grande valore simbolico. Come convocare per la primavera prossima in contemporanea i congressi della Margherita e dei Ds per lanciare la fase costituente del Pd. Aprendo reciprocamente la fase preparatoria: militanti Dl che prendono parte a livello territoriale ai congressi dei Ds, e viceversa. Magari come osservatori, ma con diritto di parola. Il partito nuovo nasce dal basso».
Intanto però continuate a discutere se ritrovarvi o meno sotto le bandiere del Pse.
«Emerge anche dalle autorevoli voci intervenute in questi giorni su Repubblica, Giuliano Amato compreso: il socialismo liberale è una delle radici nobili della sinistra europea ma deve fondersi con altre radici, per dar vita ad un soggetto nuovo. Il campo democratico non è sinonimo di Pse».
Intervista di Umberto Rosso tratta da “la Repubblica”
Roma 1 settembre 2006