News online a pagamento? Piace la ricetta di Murdoch

Per Tom Curley, presidente di Associated Press, dare valore all’informazione è fondamentale «se vogliamo mantenere la qualità del giornalismo». Ma prevedere che nel 2043 sarà stampata l’ultima copia del New York Times è «una baggianata: ci sarà ancora posto per giornali di alta qualità». Tanti consensi, con qualche distinguo, fra gli addetti ai lavori riuniti a Borgo La Bagnaia (Siena) per il convegno Crescere tra le righe, alla prospettiva di un’informazione sul web a pagamento, lanciata dal magnate australiano Rupert Murdoch, convinto che il modello delle news on line completamente gratuite in futuro non sia più sostenibile. «Credo che la strada da percorrere sia quella», dice John Elkann, vicepresidente della Fiat. Più in generale, spiega, è necessario «valorizzare di più l’informazione», su qualsiasi mezzo. «È difficile calcolare se un giorno il web potrà stare economicamente in piedi da solo. L’importante è dare ai propri lettori quello che loro interessa, valorizzarlo al meglio anche con l’aiuto della tecnologia e farsi pagare per questo». Anche Giancarlo Cerutti, presidente del Sole 24 Ore, è «favorevole ad andare verso il pagamento. Non illudiamoci, però, che si possa passare da tutto gratis a tutto a pagamento: il passaggio deve essere graduale». Favorevole «al 100%» Andrea Riffeser Monti, amministratore delegato di Poligrafici Editoriale: «È un’ottima cosa ed era ora che i grandi gruppi internazionali prendessero coscienza che non si può più regalare niente. Studieremo presto come realizzare questa idea». Per Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere della Sera, «la sfida dei micropagamenti on line è interessante se si riesce a dare all’utente un servizio personalizzato». L’auspicio è che diventi un’occasione per «dare valore all’informazione di qualità che passa attraverso Internet». Antonello Perricone, amministratore delegato di Rcs Mediagroup, è convinto invece che la ricetta Murdoch sia «una bella idea, ma molto complicata da realizzare». A suo giudizio «bisognerebbe trovare delle nicchie, ma ho qualche dubbio – sottolinea – che si possa realizzare in breve tempo». Piuttosto tiepido anche Paolo Mieli, che intravede il rischio che «tutti quelli che immettono sul mercato notizie non verificate abbiano più possibilità di guadagnare un centesimo in più rispetto a chi si è invece impegnato a verificarle. Se vogliamo salvare l’aspetto cruciale dell’informazione, dobbiamo salvarla in quanto elemento fondamentale della democrazia, e quindi innanzi tutto verificare le notizie». «Il governo non ha ancora preso una posizione», spiega il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega per l’editoria, Paolo Bonaiuti. «Voglio capire bene questa proposta: tenderei a rinviare il problema al dibattito che si terrà quando convocheremo gli Stati generali dell’editoria». Franco Siddi, segretario della Federazione nazionale della stampa italiana, indica anche altre ipotesi per dare valore all’informazione: «Penso a una normativa internazionale sul diritto d’autore e a formule da agganciare a nuovi modelli di business editoriale. Un esempio potrebbe essere agganciare all’acquisto del giornale tradizionale l’accesso diretto ad una parte dei contenuti on line, garantiti dallo stesso marchio e dalla stessa redazione, e formule privilegiate di pagamento per archivi, documenti e altro materiale di pregio». Per Tom Curley, presidente di Associated Press, dare valore all’informazione è fondamentale «se vogliamo mantenere la qualità del giornalismo». Ma prevedere che nel 2043 sarà stampata l’ultima copia del New York Times è «una baggianata: ci sarà ancora posto per giornali di alta qualità». (ANSA)

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