Roma – Arriva dal Nuovo Messico, USA, quello che si prefigura come un nuovo, difficile ostacolo alla strategia legale di lotta al file sharing dell’industria musicale negli States: il giudice federale ha respinto la richiesta di RIAA di venire a conoscenza delle identità di presunti condivisori di contenuti illegali a mezzo P2P avvenuti sul network della University of New Mexico. Il caso Capitol vs. Does 1-16 fa parte della campagna di contrasto adottata da tempo dall’associazione nei confronti dei campus universitari.
RIAA aveva come suo solito intentato una causa contro ignoti (“John Doe lawsuit”, come viene definita negli USA), avendo poi richiesto che l’Università individuasse i presunti responsabili partendo dagli indirizzi IP raccolti durante le indagini telematiche degli agenti al soldo dell’associazione. Le motivazioni della richiesta vengono identificate dagli accusatori in presunti danni irreparabili che potrebbero scaturire dalla non immediata individuazione dei condivisori, ma almeno questa volta la corte non si è fatta intenerire dai lamenti dell’industria.
“Mentre la corte non mette in discussione che l’infrazione del copyright porti un danno”, ha scritto il giudice Lorenzo F. Garcia, occorre uno “sciopero della ragione per accettare l’idea secondo cui il danno sia da considerarsi irreparabile, specialmente quando i danni monetari possono risanare ogni presunta violazione”. Al contrario, il giudice ha ritenuto che “il danno connesso alla diffusione di informazioni confidenziali sui file Internet di uno studente o di un membro di facoltà può essere altrettanto pernicioso”.
Secondo il giudice inoltre, un tale approccio rende impossibile per gli accusati venire edotti della causa e della conseguente richiesta di identificazione: una procedura che fa estremamente comodo a RIAA, ma impedisce all’uomo della strada (il “John Doe” di cui sopra) di poter intervenire per bloccare la diffusione di informazioni sensibili.
Per il giudice Garcia la soluzione sta in un “procedimento appropriato” per mezzo del quale ognuno dei “Doe” dell’università coinvolto venga informato della causa, e in cui i responsabili dell’ateneo forniscano all’industria informazioni limitate sui presunti colpevoli del reato.
Una prospettiva che, se sposata anche da altri giudici federali, renderebbe l’iter delle cause intentate da RIAA molto più complesso e laborioso, potendo gli accusati cautelarsi sin da subito piuttosto che dover agire quando la macchina giudiziaria è stata già messa in moto dalle famigerate subpoena tanto gradite ai legali dell’industria. La qual cosa trasformerebbe radicalmente la convenienza della suddetta strategia legale, finora diligentemente seguita dai discografici.
Sul fronte TorrentSpy, nel frattempo, EFF pensa a testimoniare alla corte le possibili implicazioni dell’obbligo stabilito per il portale di torrent di registrare i log del contenuto della RAM dei server: “Questa è la prima volta che la corte decide che le informazioni presenti solo in RAM possano essere soggette a registrazione” ha dichiarato Fred von Lohmann, avvocato senior dell’associazione pro-diritti digitali.
“Le società potrebbero essere obbligate a iniziare la registrazione di informazioni su conversazioni che avvengono sui servizi di telefonia digitale, che vengono archiviate temporaneamente solo nella RAM. A nessuno è richiesto di mantenere registrazioni per le conversazioni sui telefoni analogici tradizionali” avverte von Lohmann, che spera di convincere la corte a ritornare sulla propria decisione per evitare conseguenze a catena dalla portata potenzialmente devastante.
Alfonso Maruccia