Quello che molti editori radiofonici stanno pericolosamente trascurando è la rapidità dei cambiamenti mediatici in corso sul piano tecnologico, culturale e sociale. Che le dinamiche dell’IP sovvertiranno molte delle logiche commerciali, editoriali e più in generale imprenditoriali che hanno retto il medium radiofonico per 100 anni (tecnicamente la Radio ne ha 125, ma gliene concediamo 25 di start-up…) è un dato di fatto su cui chiunque, dotato di buon senso e di un minimo di lungimiranza, pensiamo non possa avere dubbi.
Ma che il processo abbia tempi di definizione (molto) più solleciti delle previsioni è un’ipotesi su cui troppi indugiano.
Eppure il rischio è enorme. Ne sanno qualcosa i player della pay tv via etere che nell’ultimo anno e mezzo si sono visti scippare una consistente fetta del core business da Netflix, colosso dello streaming video on demand. Solo dal gennaio 2016 Netflix ha reso raggiungibile il suo servizio di streaming in oltre 190 paesi, arrivando nello stesso mese a 74 milioni di clienti (di cui 44 negli Stati Uniti). Alla fine del 2016 Netflix si è affermato come leader del settore on demand con 93,8 milioni di abbonati (con 19,0 milioni di nuove attivazioni nette contro le 17,4 milioni nel 2015), 8.3 miliardi di ricavi (+35% annuo) e utili pari a 188 milioni. A dicembre 2017 gli abbonati sono arrivati a 109 milioni. E se finirà nelle mani di Apple, apriti cielo. O chiuditi sky.