Con una serie di delibere sulla radio digitale, Agcom sta sostanzialmente lanciando un monito: il DAB+ nazionale si sta pericolosamente concentrando nelle mani di pochi player. Che ne stanno facendo un uso esclusivo. In barba al principio ispiratore del digitale via etere, che dovrebbe abbattere le barriere d’ingresso caratteristiche dell’analogico. Ne quid minis.
Nel dettaglio, con la delibera 13/19/CONS (procedimento per adozione Piano Nazionale Assegnazione Frequenze in banda III VHF per DAB+) l’Autorità ha avviato il procedimento di pianificazione dello spettro che – testuale Agcom – “renderà finalmente disponibile su tutto il territorio le risorse frequenziali necessarie per l’effettivo avvio del servizio DAB+ sia a livello nazionale che locale”.
Successivamente, prima con la delibera 152/19/CONS (procedimento per l’aggiornamento e l’integrazione del regolamento recante la nuova disciplina della fase di avvio delle trasmissioni radiofoniche terrestri in tecnica digitale, di cui alla delibera n. 664/09/CONS e successive modificazioni) e poi con la 223/19/CONS (Consultazione pubblica relativa a
modifiche e integrazioni al regolamento recante la nuova disciplina della fase
di avvio delle trasmissioni radiofoniche terrestri in tecnica digitale), Agcom ha dato impulso al processo di rinnovamento dell’accesso alla radiofonia digitale, assegnando particolare tutela ai cosiddetti “fornitori di contenuti indipendenti”. Chiaramente con l’intento di evitare il processo in corso di eccessiva concentrazione della capacità trasmissiva in capo a pochi grandi player (film già visto col DTT nazionale). Ne quid minis.
Tuttavia i buoni propositi di Agcom si scontrano con l’evidenza di un approccio parziale e teorico alla questione, considerato che qualsiasi iniziativa volta a demolire gli sbarramenti d’accesso al DAB+ dovrebbe anzitutto passare dalle pianificazioni frequenziali regionali. Di cui, tuttavia, al momento non vi è ancora traccia. E senza le pianificazioni frequenziali (le risorse radioelettriche ci sono, mancano i piani e le assegnazioni), tutto il resto rimane una mera lettera d’intenti.
Ne quid minis, niente più del necessario.