Appena sentita l’espressione mi è venuto in mente il primo esame all’università: etnologia. Poi ho capito che la frase nativi digitali non si riferiva ad un popolo in via d’estinzione, che magari facesse uso solo delle dita per la comunicazione con il mondo esterno.
Eh no, si tratta invece dei nostri figli, di quel popolo che ha visto la luce, nativi appunto, nell’era telematica. Bene, ora c’è un concorso per le scuole italiane per diffondere la cultura di Internet e favorire la conoscenza delle norme nazionali ed internazionali che permettono il suo funzionamento. I giovani, in poche parole, vengono stimolati a sfoggiare la propria creatività con idee, progetti, video, foto, presentazioni, testi, siti web e a partecipare al concorso ".it Awards"; idee nuove da poter sviluppare in un dominio italiano.it. Per completezza d’informazione ricordiamo che l’iniziativa è promossa da [email protected]. Tutto bene, quindi? Sì, perché è giusto sviluppare la cultura informatica, la conoscenza del mondo che ci circonda ma, ma…E alla Cultura, quella con la “c” maiuscola, chi ci pensa? La scuola? Stendiamo un velo pietoso…è meglio. I nostri figli, i giovani che frequentano le nostre scuole stanno spaventosamente regredendo in una situazione di analfabetismo…con diploma. E non è solo questione di ignoranza, di mancanza di cultura in senso generale, ma di disaffezione, di disamore verso ciò che il mondo vive. Un’apatia verso ciò che ci circonda, uno stato quasi catatonico, in un mondo che è sempre più virtuale per loro. Sono i figli dell’isolamento, chiusi a tutto; sordi perché hanno gli auricolari alle orecchie, ciechi perché vedono solo ciò che lo schermo proietta. Si creano una realtà virtuale, un’amicizia virtuale, affetti virtuali. Convinti, come i prigionieri della caverna di Platone, che la realtà sia quella proiettata sulla parete della grotta: oggi, lo schermo del computer. Nativi digitali, appunto. (Antonio F. Vinci per NL)