I siti presenti in rete hanno raggiunto l’astronomico numero di 102 milioni; gli utenti di internet, nella totalità del globo, sfiorano gli 1,1 miliardi; tutti sono convinti di avere il mondo a portata di un click, e invece non è esattamente così. Certo, basta utilizzare un motore di ricerca come Google o Yahoo per “scovare” anche i siti più nascosti, quelli meno “cliccati”, quelli “fai-da-te”. E invece non è così. Già, perché, tra la totalità dei contenuti che la rete offre, c’è una zona d’ombra, per nulla ignorabile, che rappresenta quasi la metà del totale dei siti esistenti. Questa non è raggiungibile dai normali motori di ricerca, per le motivazioni più svariate (cambio di nome da parte del sito, mancata registrazione al motore di ricerca, negligenza da parte di qualcuno degli attori interessati) e finisce per “scomparire” dalla rete, creando una grossa voragine nella conoscenza che il world wide web porta nelle case degli utenti. A scoprire questa anomalia e a diffonderne l’esistenza è stato Albert Laszlo Parabasi, professore di Fisica dell’università Notre Dame dell’Indiana, direttore del Ccnr, centro di ricerca sui media, e uno dei massimi teorici di internet, in ambito mondiale. Secondo Laszlo Parabasi, la rete avrebbe una conformazione “a cipolla”, una struttura a strati, per cui risulta difficile accedere alle zone più recondite del web, a meno che non si conosca con precisione l’Url. In particolare, per quanto concerne le pubblicazioni accademiche, quelle, cioè, che provengono dagli ambienti universitari, il compito si fa arduo e scovare quel che si cerca diventa pressoché impossibile. Per ovviare a questo deficit, Google ha creato nel 2004 Google Scholar, un motore specializzato in questo settore, dalle tesi di laurea ai working-paper universitari. Ma nemmeno questa struttura è in grado di offrire un servizio completo, come nelle previsioni dei suoi creatori. Per questo motivo è nato in questi giorni OAIster, un archivio che comprende circa 10 milioni di documenti provenienti dalle università di tutto il mondo (in Italia le adesioni sono state molto scarse: Bologna, Napoli, Parma e Pisa, gli altri atenei restano nella “zona d’ombra”), che, perciò, si colloca in una posizione non concorrenziale nei confronti dei motori di ricerca tradizionali, ma in stretta collaborazione con essi. Il prossimo futuro verificherà se davvero, dopo quest’ultima trovata, il world wide web sarà una finestra sul mondo, su tutto il mondo. Anche su quello universitario. (G.C. per NL)