Con un approccio etnoantropologico potremmo separare i radiofonici tra negazionisti ed evoluzionisti. Quest’ultimi approfondiscono, approvano e promuovono lo sviluppo della radio nella direzione cd “4.0”, cioè uno strumento di comunicazione di massa multisensoriale, multipiattaforma con una coniugazione ibrida in attesa del vettore unico (ovviamente IP), dopo un lungo periodo di multicast. Per loro la radio è un medium vivente, che progredisce adattandosi all’ambiente socioculturale, economico e tecnologico che lo circonda e permea: si integra con la tv e con internet, spalmandosi sulle piattaforme diffusive colmando le lacune (anche contenutistiche) proprie ed altrui.
Sull’altro fronte troviamo i negazionisti, che ritengono che il mezzo radiofonico sia unico ed immutabile: la radio è tale in quanto tale; ogni ibridazione la snaturerebbe creando un mutante destinato all’estinzione.
Quest’ultimi non negano i cambiamenti dei gusti, gli avvicendamenti tecnologici, le tendenze economiche e culturali: molto semplicemente sostengono che essi generano modelli diversi dal concept classico della radio, che è immutato da 100 anni e tale dovrebbe rimanere. Loro non contestano gli ibridi radiofonici: li considerano semplicemente apocrifi.
Entrambe le correnti hanno punti di forza e di debolezza e sarebbe sbagliato attribuire all’una o all’altra prevalenza.
D’altro canto, solo chi vivrà vedrà. O ascolterà e basta.