Lo schema di provvedimento per l’assegnazione del dividendo interno approvato lo scorso 17 dicembre e trasmesso alla Commissione europea per una prima analisi (l’Agcom si è riservata di apportare modifiche per la soluzione delle sopravvenute problematiche interferenziali tv causate dall’attivazione delle reti LTE e dalla cattiva pianificazione delle dorsali RAI) ha fatto drizzare le antenne al commissario alla concorrenza UE Joaquin Almunia.
Quest’ultimo ha infatti ricordato al nostro Regolatore come sia ”essenziale” che il testo definitivo per l’attribuzione delle frequenze del digital dividend rispetti richieste contenute nella ‘‘lettera inviata nel 2009 dalle allora commissarie Ue alla concorrenza e agenda digitale Neelie Kroes e Viviane Reding". Pur riconoscendo che ”spetta alle autorità italiane decidere come allocare queste frequenze”, Almunia ha sottolineato come il processo adottato debba rispettare i paletti indicati da Bruxelles. Richiami sacrosanti; anche se va osservato che, rispetto all’esordio della vicenda, il quadro economico e di mercato è del tutto mutato. I nuovi padroni delle frequenze UHF sono, invero, destinati a diventare i provider telefonici, portatori del supremo interesse dello sviluppo della banda larga, bene di prima necessità che ha sottratto lo scettro ai broadcaster italiani. Questi ultimi, invece, da vettori DTT, potrebbero, medio tempore, trasformarsi in meri passeggeri su piattaforme web o sat. D’altro canto, con l’avvento del DVB-T2 (che moltiplica la capacità trasmissiva pro canale), l’accaparramento alle frequenze UHF non è poi più così determinante. Anzi, a dispetto delle previsioni di osservatori poco accorti, il core business televisivo sta gradatamente tornando ad essere quello dei contenuti. Insomma, così procedendo, l’asta per l’ex beauty contest, se non deserta, potrebbe poi non risultare così affollata.