(La Repubblica – di Vittorio Zambardino) – Anche Internet "invecchia"? È vero che la rete potrebbe rimanere congestionata come la tangenziale alle otto di mattina, finendo col trattare i file di YouTube come automobili in coda, ingolfata dalle nostre abitudini che "mangiano banda passante"?
Ci ritroveremo a rosicchiare le unghie mentre il sito non appare, sperando che qualcuno ci offra una corsia preferenziale? E sarà vero che la rete diventa di mese in mese sempre più vulnerabile agli attacchi dal "lato oscuro della forza ", spie e gangster virtuali, sempre all’opera per mettere in atto qualche truffa o lavorare per conto terzi nello spionaggio politico e industriale? Su questo c’è scontro tra scienziati e "allarmisti". Che sia necessario innovare è un’idea che trova d’accordo anche Tim Berners-Lee, uno dei due inventori del World Wide Web che ha detto a Madrid: "Il web del futuro, ovvero il web 3.0, sarà senza barriere, più accessibile per tutti e da ogni tipo di dispositivo, dal telefono all’ebook". Ma il fisico che al Cern, insieme a Robert Caillau, concepì nel 1989 il servizio che oggi ci fa navigare tutti, ha una visione ottimistica, aperta e collaborativa della rete. Si fida di chi "ci vive" e più che sui pericoli mette l’accento sul concetto di "apertura" e circolazione di notizie, conoscenze e tecnologie. Ci sono invece gli allarmisti. "La rete ha dei limiti" ha scritto Libération pochi giorni fa. Ripetendo le accuse a loro volta contenute in una lunga inchiesta di John Markoff, giornalista del New York Times, sì, ma anche tecnologo e docente a Stanford, che nel febbraio scorso ha messo a rumore l’ambiente con il suo saggio-provocazione: "Abbiamo bisogno di una nuova internet?". Markoff riprendeva le tesi dei tecnologi del Clean Slate Program, un gruppo di lavoro che proprio nella sua università sta mettendo a punto gli elementi base di una internet "più sicura". Il Clean Slate Program. Punti chiave del progetto sono sia il problema della "saturazione" – l’ingorgo dovuto alla crescita del traffico e alla sua qualità: i file video, la musica, i film, il multimedia dei "social network" – sia quello delle falle che in alcune occasioni (non molte, per la verità, ma clamorose) sono state utilizzate per bloccare e saturare i server di siti importanti. O per deviare i clienti di una banca su false pagine (il "phishing"). O semplicemente per rubare informazioni. Infine – ma è il punto di maggior conflitto tra "apocalittici" e "tranquillizzatori" – il Clean Slate punta contro un "sancta sanctorum" della cultura digitale per poter soddisfare una richiesta di tutte le polizie del mondo: l’anonimato e il suo smantellamento. La necessità di identificare con certezza "chi" sta facendo "cosa" sulla rete: se questo è un bit, voglio sapere chi lo manda e dove lo manda. La tempesta si spiega anche con il fatto che quello di Stanford è uno dei nomi sacri di internet. Qui è nato l’algoritmo di Google. Chi fa tecnologia a Stanford non è un incompetente. E però. Se è vero che le tesi di Stanford piacciono alle aziende di telecomunicazione, che non hanno mai amato l’internet gratuita e aperta, e se è altrettanto vero che potrebbero dare una grossa mano ai tanti governi nazionali che si adoperano per filtrare e controllare i contenuti, è vero pure che la loro diffusione scatena un rifiuto totale da parte della comunità tecnico-scientifica. Alberto Ciampa è un matematico che presso la sezione pisana dell´Infn (Istituto nazionale di fisica nucleare) è una sorta di architetto dei centri di calcolo. Dice: «Questi allarmi mi sembrano molto sovrastimati. Per capire il problema pensiamo ad una rete di strade. Se consideriamo i rettilinei dico che la situazione del traffico è fluida. Qualche problema nasce agli incroci, dove bisogna smistare le auto, cioè i dati. Qui ci sono delle criticità, ma parlare di saturazioni, crolli e catastrofi è davvero folcloristico: la capacità di banda della rete cresce con grande anticipo sul carico, ci sono studi continui per migliorarla. Anche delle fragilità, poi, si parla come se internet fosse una prateria abbandonata a se stessa: al contrario, se c´è una violazione i responsabili del sistema sono avvertiti entro dieci minuti. La rete ha i suoi presìdi, le sue sentinelle, non è una terra desolata». In effetti sul tema della saturazione è intervenuto un insospettabile, sia per competenza che per curriculum. Andrew-Odlyzko, matematico della Minnesota University, ha lavorato a lungo con la Cisco (l’azienda che produce l’hardware, il "motore" dei server che fanno andare la rete). Di recente Odlyzko ha scritto che in realtà il traffico internet cresce troppo poco rispetto a quanto dovrebbe fare per poter garantire la crescita economica dei paesi occidentali. Enrico Mazzoni all’Infn di Pisa è l’assessore al traffico del centro di calcolo. Si occupa di dodici reti, è un fisico e non solo non crede alla "saturazione": «L´unica vera saturazione è quella degli indirizzi. A tendere potrebbero esaurirsi perché la rete sta crescendo in modo molto rapido». Ma si oppone anche all´idea che sia necessario lavorare ad un nuovo protocollo: «I cinesi, che sono oltre un miliardo, stanno già lavorando con il prossimo protocollo, l’IPV6. Consente alti volumi di traffico, è sicuro, permette di pensare a una rete del futuro. Certo se ci aspettiamo che possa ancora bastare il protocollo IPV4, progettato negli anni ’70, quando la rete la usavamo noi scienziati e i militari, ed eravamo tutti "galantuomini", legati a un codice di lealtà e di scambio delle informazioni su base di onestà e collaborazione, ci illudiamo. Ma non è che noi si sia dormito nel frattempo». L’internet degli scienziati. Che è esattamente l’argomento dei fautori delle nuove reti chiuse: bisogna superarla, perché è cambiata "l’etica" vigente in rete. Bisogna creare nuove forme di controllo. Alberto Berretti, docente di sicurezza informatica a Roma Tor Vergata, è durissimo: «Vogliono riportate la gente allo stato di utenti e consumatori, mentre oggi le persone digitali sono soggetti che parlano, scrivono e dicono la loro. Hanno visto il caso Obama e si sono spaventati. La rete sposta voti, la rete fa consenso, loro non controllano la rete. Quindi vogliono chiuderla. Al suo posto vogliono creare tanti orti recintati, nei quali si legge, si guarda e si consuma quello che decidono i padroni dell’orto. Vogliono rifare il Minitel. Un posto dove si fa shopping e dove, magari, senza tanti complimenti, sia possibile controllare le opinioni delle persone». Non c’è proprio neanche l’ombra di un pericolo, gli allarmi sono proprio così strumentali? «Gli allarmi non sono strumentali, ma sono narrati in modo paranoico. Tutto è addebitato alla rete, i problemi invece si trovano ai suoi confini: sono le macchine, i computer che si collegano che non sono difesi da virus e attacchi. Sulla rete c’è il crimine come ovunque nella vita. Rappresentare il crimine in modo folle, enfatizzare i pericoli fino a parlare di "11 settembre della rete", è un’altra cosa. Significa voler mettere le mani nella democrazia».