Sono recenti e ricorrenti le discussioni (anche polemiche, a torto o a ragione) su Spotify versus il mondo radiofonico.
Parallelamente ci si lamenta ovunque del fatto che i millenials (giovani, tra i 15 e i 19 anni) fuggano dalle radio per approdare a servizi on demand e questa sia la prima delle ragioni per cui il comparto radiofonico molto spesso non si concentra su questo tipo di utenza preferendo un target più adulto.
Per tutti quelli che dipingono Spotify come il nemico numero uno della radio è sicuramente interessante quanto emerso direttamente dalla Svezia nelle ultime settimane.
Facciamo una breve divagazione per comprendere lo scenario in cui ci muoviamo.
A quanto pare, questo “nemico” sta dormendo qualche sonno disturbato perché dalle dichiarazioni di Rasmus Fleischer (uno dei membri fondatori della Piracy Bureau Svedese e figura chiave all’interno di Pirate Bay) qualche brutta sorpresa potrebbe essere tolta dagli armadi che la custodiscono insieme al proverbiale “cadavere”.
Insieme ad altri quattro autori, Fleischer sta scrivendo un libro su Spotify che ha un titolo provvisorio inquietante: “Dentro la scatola nera dello streaming musicale”.
In un’intervista rilasciata per il magazine online svedese Di Digital afferma che Spotify nella sua versione beta era configurato come un servizio pirata distribuendo i file che i dipendenti conservavano sui loro hard disk personali.
Questa bomba è sganciata portando come avvallo che stranamente Spotify ha ospitato la musica di una band (che è mantenuta anonima) presente per scelta solo attraverso Pirate Bay.
Il paradosso che si cerca di far esplodere concerne la mission di Spotify (combattere la pirateria attraverso un servizio freemium che possa distribuire comunque musica ma in maniera legale). Una bella gatta da pelare, soprattutto oggi che il Consiglio Svedese ha confermato la liceità dell’indagine del team Fleischer sia il finanziamento del quale Spotify aveva chiesto il ritiro.
Il quartier generale di Spotify, ovviamente, non è all’oscuro di queste dichiarazioni, anzi. C’è da dire però che le ha gestite malissimo.
Invece di assumersi la responsabilità della cosa, magari approfittandone per fare luce tra le pieghe del diritto d’autore, ha opposto resistenza cercando di impedire l’uscita di queste informazioni. Invano.
Non è stata una buona mossa quella di Spotify e il danno alla reputazione è dietro l’angolo, con l’ovvia conseguenza che tutti i sottoscrittori di abbonamento inizieranno la crociata delle polemiche nei confronti del servizio di un’azienda che ha fatto suo il nobile motivo della lotta alla pirateria per non parlare del rimbalzo in termini di mancati rinnovi di abbonamenti.
Ammesso ora che il polverone annunciato qualche effetto lo sortirà, nel caso in cui Spotify sia drasticamente ridimensionato (anche si dovesse trattare di una salatissima multa, Spotify è ancora un servizio allo stato sperimentale e non ancora auto sostenibile, per non parlare del riscontro negativo che questa cosa può avere sugli investitori attuali o potenziali), dove se ne andranno queste (tante) persone?
Tenendo conto che la loro abitudine è quella dello streaming, dove troveranno rifugio?
Potenzialmente una grossa quantità di domanda può essere pronta per generare l’offerta.
La radio, soprattutto quella in streaming, è pronta ad accoglierla e soprattutto a rispondere alle esigenze di questa fascia di nuovo pubblico? Vale la pena iniziare a lavorarci. (F.N. per NL)