Il 16 novembre scorso, il presidente della Fimi, Enzo Mazza, avrebbe dichiarato che “la diffusione di musica in rete raggiunge un nuovo record con il sorpasso di internet sulla TV per numero di videoclip accessibili al pubblico”. E lo stesso Mazza ha proseguito dicendo che “ormai l‘offerta di video musicali messi a disposizione da parte dalle etichette discografiche su internet ha scavalcato anche in Italia l‘offerta presente in televisione, confermando la grande opportunità per i consumatori di accedere a contenuti on-demand tramite i propri computer e costruire palinsesti a propria scelta con migliaia di video musicali di artisti di tutto il mondo. La rete é ormai diventata una grande universale TV musicale”. Internet, è risaputo, corre molto più veloce di qualunque altro media, e altrettanto veloci sono i problemi che di pari passo seguono, in particolare, il mondo della musica, che sia trasmessa via mp3 o in formato video. Il fatto che, come sottolinea Mazza, l’offerta sul web abbia ormai scavalcato gli analoghi servizi su etere non è una notizia che sconvolge, tanto meno che sorprende. Che la rete si presti a diventare la nuova e grande televisione universale (e non solo musicale) non è certo una novità: da YouTube, a Hulu.com (il portale di sitcom del magnate Rupert Murdoch, ndr), la più diffusa delle conoscenze condivise forse riguarda proprio la capacità di ogni singolo utente di creare e gestire contenuti su misura e adatti alle proprie esigenze. Le potenzialità sono tanto chiare e note da rendere l’appellativo “on demand” quasi limitante: perché non chiamarli contenuti “as you prefer”, giusto per rimanere nell’ambito delle espressioni comuni anglofone? I contenuti sono ormai così specificatamente dedicati da aver suggerito la nascita (e l’esponenziale evoluzione) di portali che, nonostante godano della stessa natura tecnologica dei più noti, sono simboli delle più mirate necessità (siano essi bisogni o piaceri) degli internauti: tra i tanti ricordiamo GodTube, l’alter ego della più nota proprietà di Google, interessato a diffondere l’entità della Chiesa Evangelica statunitense; oppure YouPorn, sito il cui materiale non gioca evidentemente solo su una mera assonanza (è fondamentale notare come la diffusione di porno gratuito abbia scosso l’industria pornografica; esattamente come il peer-to-peer musicale distribuisce colpi bassi al copyright).
Il punto della questione potrebbe piuttosto essere di interrogarsi, ancora una volta, sulla qualità della diffusione musicale considerata (in questo caso, televisiva e non). Il web ha sorpassato la tv? Bene. E non vogliamo invece sprecare due parole sulla reale entità dei contenuti legali? Essendo Fimi (Federazione Industria Musicale Italiana) l’ente che, proponendosi di salvaguardare il ricco patrimonio musicale e di garantirne lo stesso rinnovamento, collabora con le istituzioni per tutelare i diritti di autori e fonografici in genere, il commento di Mazza può risultare rilevante, forse solo se fosse coadiuvato in tutti i suoi aspetti da artisti di effettivo successo. Come del resto potrebbe essere efficace che gli stessi supportassero Fimi su quegli aspetti che detengono un posto d’onore nella schiera dei problemi presumibilmente impossibili da debellare (tutto ciò che è connesso al diritto d’autore). Ed è certo che, tra gli altri, il sostegno apportato a Fimi dal portale www.pro-music.org (direttamente connesso a www.fimi.it) risulta davvero inefficacie, soprattutto nel momento in cui si rintracciano gli artisti partecipanti alle diverse campagne pro musica. Infatti, a contrastare chi della musica online sta facendo il proprio business (primi tra tutti i tanto declamati e discussi Radiohead) troviamo un nugolo di fenomeni pop di scarsa popolarità, sicuramente poco adatti a creare una morale strutturata sugli eventuali pericoli connessi alla pirateria musicale. Al fianco di Melanine C (da poco tornata in tv con una versione visibilmente invecchiata e goffa delle Spice Girls), troviamo la coppia russa dimenticata delle T.a.t.u., la cui massima a difesa del diritto d’autore si riduce a “Please don’t steal our music if you’re really smart guys” (“per piacere, non rubate la nostra musica se siete davvero ragazzi furbi”, ndr). La musica legale online sembra così essere prerogativa delle sole “stelle cadenti” che, oltre a dimostrarsi incapaci di sfruttare a proprio vantaggio le opportunità della rete, sono da considerarsi davvero poco utili per contrastare il mondo dell’illegalità musicale del web. Rimane dunque il dubbio ai musicofili, non espresso dallo stesso presidente Enzo Mazza, secondo il quale ci si chiede: quali sono i contenuti e quali sono la qualità e la notorietà dei video musicali legali, che hanno permesso al web di sorpassare le programmazioni televisive? (Marco Menoncello per NL).