di Massimiliano Lanzi Rath
Dopo che il sindacato dei giornalisti ha chiesto di sedersi al tavolo della trattativa dichiarandosi disposto a mettere da parte la propria piattaforma.
Dopo che il ministro del Lavoro Damiano ed il sottosegretario della presidenza del Consiglio con delega per l’Editoria Ricardo Franco Levi hanno formalmente invitato le parti con l’intento di dare l’avvio a un percorso parallelo che porti da una parte al rinnovo del contratto dei giornalisti e dall’altra alla riforma dell’editoria.
Dopo che il presidente della commissione Cultura della Camera Pietro Folena ha assicurato di voler riservare all’eventuale citata riforma addirittura una corsia preferenziale.
Dopo aver chiuso dei bilanci in decisa crescita.
A contratto scaduto da due anni e dopo tredici giorni di sciopero generale.
A fronte di tutto ciò, la categorica chiusura alla trattativa ribadita dalla Fieg è decisamente sospetta.
Di più. Appare manifesta la volontà di andare allo scontro. Al muro contro muro.
Durante l’intervento alla prima giornata degli Stati generali della categoria, martedì scorso a Roma, è stato proprio il ministro delle Comunicazioni Gentiloni a porre l’accento su “un clima da resa dei conti”. “Una strana voglia di vincere e di sfondare il muro delle relazioni sociali”. Ed è forse da queste considerazioni che dobbiamo partire per provare a darci una risposta al nostro interrogativo iniziale. Perché? Cosa c’è sul piatto della bilancia? Cosa spinge gli editori ad avventurarsi sul terreno dello scontro totale pur di fronte a tanta disponibilità?
Ipotizziamo una risposta. Perché cambiare lo status quo? L’attuale situazione ha consentito una graduale e progressiva precarizzazione del lavoro. Minori costi. Utili in costante crescita. Un maggior potere di controllo sulla sempre più numerosa forza di lavoro non, o mal, contrattualizzata, non garantita e non tutelata. Un indebolimento dell’autonomia e dell’indipendenza della classe giornalistica. L’istituto di previdenza dei giornalisti e la cassa mutua che costano cari, e che fanno gola a molti, nel mirino.
Allora la risposta che ci diamo è: che non c’è nessuna ragione valida per cambiare la situazione.
In questo quadro allora appare evidente che una qualche ragione agli editori qualcuno la debba fornire. Interpellata, la Federazione della stampa dopo aver già archiviato lo sciopero senza preavviso di ieri ci risponde che vuole mantenere lo sciopero prenatalizio di 7 giorni senza preavviso come extrema ratio. Per il momento sono stati bloccati gli straordinari, indette le assemblee durante le ore di lavoro, richiesta l’osservanza rigida di orari, ferie e permessi. Ma non è, e non sarà, certo questa la leva sufficiente a spostare gli editori dalle loro posizioni. E alla Fnsi ne sono consapevoli. Ben più efficace sarà, se approvata dal governo, e la presenza di tre ministri, Damiano, Gentiloni e Mastella, del sottosegretario Levi e di numerosi parlamentari agli Stati generali di martedì induce a prevederlo, una piccola clausola che il sindacato si appresta a chiedere. Coinvolgendo maggioranza e opposizione parlamentare in un appoggio bipartisan si punta ad ottenere che l’erogazione di qualsiasi provvidenza all’editoria sia condizionata alla messa in regola dei precari e al rinnovo del contratto di lavoro giornalistico.
In un Paese dove gran parte dell’editoria ottiene generose provvidenze di denaro pubblico queste argomentazioni “di principio” potrebbero rivelarsi efficaci. E noi siamo sicuri che la Fieg che si è detta pronta “a recarsi in ogni momento al dipartimento dell’Informazione e dell’Editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri per esprimere le sue idee e per apportare il proprio contributo in vista di una futura legge di riforma del settore dell’editoria”, ma che spiega anche che il problema del rinnovo contrattuale “presuppone l’intesa delle parti e comunque non può essere affrontato nel quadro di consultazioni di altra natura e destinate a tutt’altro fine” troverà, se del caso, ottime motivazioni per rivedere le sue posizioni.