Antonio Campo Dall’Orto (foto), 43 anni e la carica di amministratore delegato di Telecom Italia Media, è uno dei giovani rampanti del settore televisivo non solo italiano ma internazionale. Nel mondo della tv da oltre dieci anni, dopo il master di Publitalia è stato collaboratore di Giorgio Gori per Canale5 e, dal 2000, è entrato nell’azienda Telecom, prima come direttore generale di Mtv e, dal 2005, come amministratore delegato di Telecom Italia Media. Rappresenta certamente uno dei volti nuovi di maggior appeal di un settore televisivo gerontocratico e, com’egli stesso ammette, è assolutamente soddisfatto d gestire il terzo polo, perché “il linguaggio televisivo di Rai e Mediaset si è fermato agli anni novanta”. In una recente intervista per il periodico “Corriere della sera Magazine”, Campo Dall’Orto ha tracciato una sorta di punto della situazione sulla sua carriera, oltre ad una lucida analisi di quello che è il mercato televisivo e pubblicitario nel nostro Paese. “Il sistema televisivo non ha regole competitive – sostiene, intervistato da Vittorio Zincone – Noi investiamo, aumentiamo lo share, ma non ci schiodiamo da una percentuale minuscola di mercato pubblicitario. Manca il pluralismo delle risorse”. In effetti, l’unica ventata d’aria buona, per il network ch’egli dirige, sarebbe rappresentata dall’approvazione del disegno di legge Gentiloni: “Se non venisse approvata sarebbe una brutta botta per La7 – ammette – E questo governo mi sembra che abbia difficoltà a far passare cose ben più semplici della Gentiloni”. Insomma, senza un riordino del mercato televisivo, La7 (e tutto il gruppo in cui è inglobata) sarebbero condannati a restare nel limbo per l’eternità. Anche se, dal punto di vista dei conti, sembrano addirittura con un piede all’inferno: la Telecom Italia Media è perennemente in rosso, annualmente spende 60 milioni di euro in più di ciò che guadagna in pubblicità. Ma lui si giustifica. “Altri settori del gruppo non sono affatto in rosso”. Se lo dice lui.
Facendo un salto nel passato, vediamo che Campo Dall’Orto ha una carriera alle spalle di tutto rispetto ma, con un decisionismo invidiabile per un professionista della sua età, ha già collezionato numerosi rifiuti eccellenti. Il primo, alla Rai: “Mi chiamò Pierluigi Celli per dirigere Raidue, Rifiutai. Un po’ perché ero impegnato con Mtv, un po’ perché ho una formazione veneto anglosassone: la concretezza”. Non solo Rai, comunque: “Piersilvio Berlusconi tra il 1999 e il 2000 mi convocò ad Arcore per propormi la direzione di Italia1. Anche a lui dissi no: le quattro mura italiane mi fanno un po’ paura”. Il più eccellente dei “no, grazie”, però, Mr. Mtv lo ha destinato nientemeno che al più grande magnate dell’informazione mondiale: Rupert Murdoch. “L’ho incontrato a New York, nella torre nera della sede Newscorp nel 2004. […] Mi propose la responsabilità dei contenuti di Sky Italia”. Pur di portare avanti il progetto di Mtv prima e di La7 poi, quindi, Campo Dall’Orto ha dovuto dire molti no, ma alla fine la sua caparbietà è stata premiata: è notizia di questi giorni, infatti, che gli è stata affidata la gestione dell’ultimo nato in casa Mtv: Mtv Arabia. Sarà lui, a capo della struttura italiana che fa capo al network statunitense, l’affidatario di questo progetto così stimolante ma anche così difficile da gestire.
Tornando in Italia, a proposito delle sue creature, Crozza e Luttazzi su tutti, dice: “Io faccio un patto col conduttore, lo scelgo, poi lui è libero di fare quello che vuole”. E, a proposito dell’inizio con polemica del “Decameron” di Luttazzi: “Il suo astio mi pare comprensibile: cacciato, travolto da cause miliardarie…”. Poi, un passetto, anche se molto cauto, in politica: “Le cose politiche mi sfuggono” – dice – poi, però, parte: “La mia stima per Veltroni non è un mistero. Viene da un decennio di esperienze fatte insieme per Mtv. E poi credo che il Paese non veda un messaggio innovativo quanto il suo dai tempi del Berlusconi del 1994”. E, a proposito dell’ex premier (di cui aveva rischiato di diventare l’assistente personale, salvo rifiutare quando gli dissero che sarebbe dovuto restare accanto “all’imprenditore Berlusconi 24 ore al giorno”), osserva: “Pensavo che potesse portare una discontinuità che poi non ha portato”. Dalla stima sbandierata per Giuliano Ferrara (“E’ il mio link con la tivù”), infine, alle esperienze alternative di La7 (“Gestisco una rete commerciale che vive di sport ma due o tre volte l’anno faccio servizio pubblico. Il che porta un ritorno d’immagine” dice, in riferimento alla prima serata con due ore di monologo di Marco Paolini, che ha fatto il 5,5% di share), fino a una domanda, fatta a bruciapelo da Zincone. Accetterebbe un incarico in Rai? “Prima la politica dovrebbe uscire dalla tv di Stato. Alla Rai ho già detto di no una volta”. (Giuseppe Colucci per NL)