Se n’è andato un altro dei mostri sacri del giornalismo italiano del Novecento. Ha avuto una carriera d’altissimo profilo, Alberto Ronchey, classe 1926, romano.
Fu lui l’inventore di uno dei termini più utilizzati – ahinoi – in Italia, a partire dagli anni Settanta, in riferimento alla politica: lottizzazione. Lottizzazione della Rai, anzitutto, e lottizzazione delle cariche pubbliche, ossia l’arte di piazzare gli uomini “giusti” al posto “giusto”, per appartenenza politica piuttosto che per merito acquisito. Al di là di questa curiosità, Ronchey è stato davvero una delle voci più ascoltate e credibili del giornalismo italiano del secolo passato. Autorevole, indipendente, curiosa. Iniziò nel dopoguerra, poco più che ventenne, come direttore di “Voce repubblicana”, il quotidiano del Partito repubblicano di Ugo La Malfa, per cui simpatizzava, pur mantenendo sempre una certa indipendenza intellettuale. La celebrità, quella dirompente, arrivò però nel ’68, quando l’avvocato Agnelli, giovane e da soli due anni alla guida del gruppo Fiat decise di affidargli uno dei due gioielli di famiglia: La Stampa (l’altro era ed è la Juventus). Ronchey ne divenne direttore, andando a sostituire quello che forse è stato il più celebre ed amato tra i direttore del quotidiano torinese: Giulio De Benedetti. In passato, sempre per il quotidiano di casa Agnelli, era stato corrispondente estero a Cuba, in Biafra, Egitto, Congo, Alaska, India e Giappone. La sua avventura alla direzione de La Stampa durò sei anni, finché non bussò alla sua porta di Corriere, dove si trasferì come inviato e dove, si dice, era sul punto di diventare direttore, e non lo divenne per decisione della loggia P2 di Licio Gelli, smascherata solo pochi anni dopo. Poi vennero gli anni ottanta e Scalfari lo arruolò, insieme ad altre grandi firme, per lavorare nella sua creatura, fondata solo pochi anni prima: Repubblica. Nei primi anni Novanta, infine, dopo lo scandalo di Tangentopoli e la creazione dei governi tecnici Amato, prima, e Ciampi, poi, divenne ministro per i beni culturali ed ambientali. Il salto in politica durò pochi anni perché nel 1994 divenne, per cinque anni, presidente della Rizzoli Corriere della Sera. Ronchey è scomparso venerdì 5 marzo, ma la famiglia lo ha reso noto solo oggi, ad esequie avvenute. (L.B. Per NL)