Mockridge (Sky): il problema della tv italiana è la scarsa concorrenza. La ricetta dell’uomo di Murdoch per risollevarla in quattro punti

E’ un Tom Mockrdige forza sette quello che negli ultimi giorni si sta scagliando, a suon di lettere, contro il sistema televisivo italiano, la sua scarsa concorrenza e la sua eccessive dipendenza dalla politica e dall’attuale governo.

Ieri, in un editoriale sul Corriere della Sera, il critico televisivo Aldo Grasso aveva lamentato, ancora una volta, la scarsa salute di cui gode la tv di casa nostra. I problemi, a suo dire, risiederebbero nella poca qualità offerta dalle reti in chiaro, dettata dalla poca propensione all’innovazione, finanche oggi, a due passi dal definitivo passaggio alla televisione digitale che,
stando alle regole, continuerà a privilegiare gli attori attualmente dominanti sul mercato della tv analogica nazionale. Oggi, con una lettera indirizzata proprio al quotidiano di Via Solferino, e che segue quella inviata la scorsa settimana al presidente dell’Agcom, Corrado Calabrò, circa la nomina a commissario dell’autorithy di Martusciello, uomo di Berlusconi, Tom Mockridge, amministratore delegato di Sky Italia e uomo di massima fiducia di Rupert Murdoch, risponde alle parole di Grasso, rincarando
la dose. La questione principale attorno alla quale ruotano le difficoltà della televisione italiana e la sua praticamente nulla propensione ad innovare sarebbe, secondo lui, la mancanza di concorrenza. Non essendoci nuovi attori sul mercato, il cui ingresso sarebbe ostacolato dall’equilibrio duopolistico Rai-Mediaset, la spinta verso il nuovo sarebbe sostanzialmente azzerata. È per questo che continuerebbero a vedersi sempre “gli stessi conduttori e gli stessi programmi”, premiati dalla dedizione degli italiani per la tv e dalla mancanza di un’alternativa che generi nei telespettatori l’apertura nei confronti di nuovi volti e nuovi formati televisivi. L’apertura di questo sistema che, dice ancora Mockridge, “ha permesso a un’unica azienda, Mediaset, di ricoprire una posizione di tale dominanza nel settore televisivo nazionale, da raccogliere il 65% delle entrate pubblicitarie”, ne permetterebbe la crescita, con conseguenze positive per eventuali nuovi attori, anche stranieri, e per quelli attualmente dominanti, Rai, Mediaset e Sky, che potrebbero così “svilupparsi e prosperare”. La sua ricetta sarebbe semplice: quattro punti cardini sui quali non prescindere. Uno: “Garantire che la maggior parte delle nuove frequenze rese disponibili dal passaggio al digitale vada a nuovi entranti nel mercato (tra cui eventualmente anche aziende straniere) che dispongano delle necessarie risorse economiche e di idee innovative. E’ fondamentale inoltre garantire che le procedure di assegnazione di queste frequenze vengano stabilite con criteri di totale indipendenza, obiettività e trasparenza”. Due: “Rimuovere in modo più rapido le regole introdotte nel 2003 che impediscono a Sky di essere competitiva nel campo del digitale terrestre, ed evitare di introdurre nuove norme finalizzate a penalizzare Sky (quali, per esempio, le limitazioni previste nel decreto firmato dal Viceministro Paolo Romani nel corso di quest’anno che limitano la nostra possibilità di vendere spazi pubblicitari)”. Tre: “Spezzare il controllo duopolistico che Rai e Mediaset hanno su Auditel affinché le aziende che decidono di investire in nuove televisioni possano subito fare affidamento su dati di ascolto accurati, fonte dei propri ricavi”. Infine, quattro: “Liberare la Rai dal controllo da parte della politica (di tutti gli schieramenti, di destra come di sinistra e di centro) e permettere di riscoprire la sua autentica missione di servizio pubblico”. Quattro “semplici” ricette, quindi, per cambiare il futuro della tv italiana e un po’, di conseguenza, quello dell’Italia stessa. Prontissima, a prova di Ansa, la replica di Fedele Confalonieri. “Finalmente – dice – Mockridge ha imparato l’italiano con accento napoletano, “chiagn’e fotte”. Dice che le leggi del nostro paese lo ostacolano, quando invece rispetto alle tv terrestri non ha limiti: né in termini di vincoli di programmazione né di obblighi di pluralismo. Rileva la posizione di Mediaset nella pubblicità tacendo la propria posizione monopolista nel satellite con quasi il 90% dei fatturati della pay tv. Lamenta che a suo carico esistano norme restrittive che, tuttavia, non gli hanno impedito in soli sette anni di superare il fatturato di Mediaset e di sfiorare quello della Rai. In realtà, in nessun paese europeo, Gran Bretagna a parte, Sky ha potuto raggiungere una posizione rilevante come in Italia. Per questo rivendichiamo il diritto di essere liberi di… non prendere lezioni di concorrenza da un esponente del gruppo media più dominante al mondo”. Con queste premesse, pare che la soluzione al problema italiano non sia poi così vicina. (G.M. per NL)

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