Ministro Gentiloni, anche in Italia internet avrà la museruola?

Siti e blog nel mirino del discutibile ddl sull’editoria approvato senza essere letto


Hai un blog nel quale allieti la lettura del navigante raccontando la tua vita in forma di diario? Bene, se vorrai proseguire con la pubblicazione (anche ai soli fini di intrattenimento di terzi) dei racconti delle tue giornate dovrai iscriverti al Roc, il Registro degli Operatori di Comunicazione presso l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (e dovrai annualmente ottemperare ad una serie di obblighi). Questo implicherà, naturalmente e tra le altre cose, la compilazione e l’espletamento di un fardello burocratico e la successiva identificazione del blogger scrivente (e sin qui si condivive per evitare che vengano commessi abusivi attraverso lo schermo dell’anonimato), oltre che l’aumento delle responsabilità penali per chi ha un sito o, come scritto sopra, un blog. Un brivido gelido ha percorso nei giorni scorsi la schiena di migliaia di blogger del nostro paese che, difesi prima da Beppe Grillo (il cui sito è a rischio quanto gli altri), e poi, tra gli altri, da Valentino Spataro (www.civile.it) e da Paolo De Andreis, (www.punto-informatico.it) si sono ragionevolmente chiesti se il ministro Gentiloni ed i suoi colleghi abbiano approvato il nuovo disegno di legge prendendo spunto da Cina e Myanmar, paesi dove le limitazioni relative alla libertà di stampa e all’utilizzo del web sono discusse ormai quotidianamente. Presto gli stessi internauti hanno scoperto che, purtroppo, la risposta sarebbe stata peggiore di quanto avessero mai potuto immaginare: il Ministro in questione, infatti, non avrebbe nemmeno letto in modo completo quello stesso ddl, da lui “inconsapevolmente” confermato. Le reazioni, come è lecito pensare, sono state direttamente proporzionali allo sgomento. Per esempio, il Disinformatico (personaggio che risponde al nickname di Paolo Attivissimo; attivissimo.blogspot.com) ha scritto, in un articolo intitolato “Caso mai servissero conferme che i governanti non capiscono niente di Internet”, che “…certo, si tratta soltanto di un disegno di legge, ma non è questo il problema. Il problema è che una proposta (…) di questo genere non doveva neanche vedere la luce. Non doveva neanche impegnare un micro secondo delle risorse della pubblica amministrazione; e chi la proponeva doveva essere sommerso dagli sberleffi dei colleghi per aver dimostrato che non capisce un emerito piffero di Internet. Ma nulla di questo è successo, perché i colleghi del genio che ha partorito questa mostruosità (probabilmente parente di chi coniò il bollino SIAE per i siti Web) sono altrettanto abissalmente ignoranti di come funziona Internet. E così siamo arrivati al disegno di legge, che impegnerà altre risorse per discuterlo, negoziarlo e, si spera, alla fine buttarlo via”. L’invettiva del Disinformatico, peraltro dotata di un linguaggio più che colorito, si commenta da sola e potrebbe del resto rendersi utile e di per sé sufficiente a misurare la preoccupazione e lo stupore del popolo della rete. Newsline ha più volte puntato il dito su quei regimi che, in seguito al successo e alla diffusione di internet, tutelano se stessi limitando la più che legittima libertà alla corretta e leale comunicazione: abbiamo parlato delle misure restrittive della Repubblica Popolare Cinese (a volte addirittura concordate con le grosse società di internet, come per esempio Google o Yahoo!, vedi, sul nostro sito, le numerose invettive di Newsline a riguardo); abbiamo lamentato il blocco globale dei server in Myanmar, purtroppo destinato a negare la comunicazione verso il resto del mondo; ma sembra del tutto assurdo che un governo, forse impegnato a costruire una legge ad uso e consumo personale, forse per “spegnere” la voce di qualche personaggio scomodo, abbia potuto proporre qualcosa di tanto simile ad un’effettiva “museruola per la comunicazione”. Grillo si è limitato a dire (e “limitato” è davvero un eufemismo) che se il disegno di legge non dovesse cambiare sceglierà di “trasferirsi in un paese democratico”. Le scuse di Gentiloni (e anche quelle Di Pietro, giunte con un giorno d’anticipo e certamente più giustificate di quelle del suo collega) non bastano. Sebbene il web possa, al limite, necessitare di regolamentazioni, il caos intorno a quanto successo dimostra chiaramente che sono state proposte quelle più sbagliate. (Marco Menoncello per NL)

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