Milleproroghe, norma incroci stampa/tv mantiene assetti mercati

La nuova disciplina sui limiti agli incroci tra stampa e televisione dovrebbe confermare l’attuale assetto di mercato fino al 2012. Né Fininvest, né Sky e Telecom Italia dovrebbero quindi essere nelle condizioni di comprare giornali.

Lo si desume dai dati dell’Autorità per le comunicazioni che, pur risalendo al biennio 2007-2008, offrono una prima, parziale indicazione di quali effetti produrrà l’emendamento approvato venerdì sera nelle commissioni Bilancio e Affari costituzionali del Senato al decreto legge Milleproroghe. Un testo che tra l’altro non può neanche considerarsi definitivo. Non solo perché il decreto non è ancora convertito in legge, quanto perché domani, al momento di porre la questione di fiducia in aula, il governo presenterà un maxiemendamento che potrebbe rimettere mano alle modifiche varate dalle commissioni. In ogni caso, l’emendamento approvato venerdì e presentato dal senatore del Pdl Giuseppe Esposito prevede che non potranno acquisire quote azionarie in imprese editrici di quotidiani i soggetti che esercitano l’attività televisiva in ambito nazionale su qualunque piattaforma, se conseguono per ciascun anno ricavi superiori all’8% dei ricavi complessivi del sistema intergrato delle comunicazioni (Sic) o al 40% dei ricavi del settore delle comunicazioni elettroniche. La formulazione originaria del decreto Milleproroghe allungava la durata del divieto di incroci tra stampa e televisione (in scadenza a dicembre 2010) fino al 31 marzo 2011, con la possibilità per la presidenza del Consiglio di disporre un’ulteriore proroga fino al termine dell’anno in corso. A vigilare sul rispetto degli assetti di mercato nel settore dei media è l’Autorità per le garanzie delle comunicazioni, che ha il compito di elaborare anno per anno il valore del Sic, dato dalla somma di radio e televisione, stampa ed editoria, cinema e sponsorizzazioni. L’ultima stima disponibile risale al 2008. La delibera 555 del 2010 calcola per quell’anno un Sic a quota 24,25 miliardi, oltre il 39% del quale è imputabile al solo settore radiotelevisivo. La delibera non fornisce tuttavia la ripartizione del Sic tra i principali soggetti presenti sul mercato. Per avere qualche altra indicazione bisogna andare a leggere la delibera 270 del 2009, che ha calcolato in 24,437 miliardi il valore del Sic per il 2007. In quel caso l’Autorità ha fornito anche le quote dei principali operatori. Le imprese che fanno riferimento al gruppo Fininvest (Mediaset e Mondadori) sfioravano nel 2007 il 14,5%, seguite da Rai (11,9%) e Sky Italia (9,7%). A una certa distanza si posizionavano Rcs Mediagroup (5,1%) e il gruppo L’Espresso (4,4%). Dati più recenti non sono disponibili: l’Autorità conta di chiudere l’analisi sul Sic del 2009 entro il 30 giugno 2011 (delibera 627 del 2010, pubblicata in Gazzetta ufficiale il 28 dicembre). Più semplice raccogliere informazioni sul settore integrato delle comunicazioni elettroniche, un altro aggregato che somma i ricavi di telefonia (fissa e mobile) e accesso a Internet, compresi i servizi di banda larga. In questo caso l’emendamento dovrebbe impedire anche a Telecom Italia di comprare giornali. In base alla relazione annuale 2010 presentata dall’Autorità, l’ex monopolista ha infatti una quota di mercato superiore alla soglia del 40% in tutti i settori in cui opera: 44,2% nella telefonia mobile, 73,5% nella telefonia fissa, 56,2 nella banda larga. (Reuters)

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