Mentre del ddl Gentiloni sulla riforma tv (come avevano anticipato settimane fa) tutti si stanno dimenticando, il ministro fa lo scoop con la gara competitiva per l’assegnazione delle frequenze tv

Mentre si discute nelle varie aule di competenza circa la proposta del ministro paladino del riassetto radiotelevisivo, presentata esattamente un anno fa, l’Italia torna a coprirsi di ridicolo davanti all’Europa e al mondo con l’ennesima buffonata


Si dice fiducioso Paolo Gentiloni (foto sorridente, scattata in tempi migliori). Egli sostiene che le commissioni che hanno analizzato la sua proposta di legge hanno fatto un buon lavoro. A sentire lui, ottimista davvero, il ddl di riforma del sistema radiotelevisivo italiano dovrebbe essere in dirittura d’arrivo. E, invece – tutti sappiamo – lo zatterone è pesantemente incagliato, in secca oggi più che mai.
Esattamente un anno fa, il 12 ottobre del 2006, Gentiloni presentò in pompa magna il suo disegno di legge che prevedeva, tra le altre cose, l’anticipo del passaggio al digitale (nel 2009), la spedizione di due reti (una Rai e una Mediaset) sul satellite e, cosa che ha fatto imbestialire Confalonieri & soci (e che, non si sa quanto, ma certamente ha influito in maniera decisiva nell’accantonare il ddl da parte di qualche commissione parlamentare), il tetto imposto sulla raccolta pubblicitaria al 45% (contro l’attuale oltre 60% di Mediaset).
Dopo un inizio roboante, in cui tutti ne discutevano, il ddl del buon Gentiloni (novello Don Chisciotte che forse avrebbe fatto meglio a darsi obiettivi meno rivoluzionari e quindi più accessibili) ha iniziato ad essere sempre meno notiziabile. Non solo. Le aule parlamentari, pantani per qualsiasi proposta di legge non condivisa trasversalmente già nella sua prima formulazione mentale, hanno risucchiato il ddl come fossero sabbie mobili.
Martedì, intanto, le commissioni congiunte di trasporti e cultura hanno dato il via libera al testo, senza modifiche. Ora tocca alle aule parlamentari, ma di calendarizzazione neanche l’ombra. Fino alla fine dell’anno, infatti, non è prevista la discussione nelle aule del disegno di legge Gentiloni; ciò significherebbe slittamento all’anno nuovo, dopo le abbuffate natalizie.
In questi giorni, comunque, è prevista una conferenza dei capigruppo della Camera, il che rappresenta l’ultima, residua, occasione per inserire il ddl nella calendarizzazione dell’anno in corso. E l’ultima, residua, speranza per il Ministro di non vedere andare in fumo la propria proposta. Intanto, il suo ufficio stampa opportunamente tace. Muto davanti alle richieste dei giornalisti specializzati, come sempre ha fatto. Gentiloni, invece parla, anzi straparla: addirittura di una gara competitiva per l’assegnazione di “diritti d’uso di risorse frequenziali” per l’esercizio dell’attivita’ televisiva. Nè dà notizia l’agenzia Apcom che si dice “in grado di anticipare” che “il ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni con un apposito bando, che probabilmente sara’ pubblicato gia’ la prossima settimana” con il quale si concreterrebbe una fattispecie ancora più ambiziosa dello stesso ddl arenato (ma che si incaglierebbe inesorabilmente con il primo ricorso al TAR). Si tratterebbe “di un vero e proprio avvenimento, visto che nel nostro Paese, finora, lo spettro frequenziale per la tv e’ stato oggetto di una situazione generalizzata di ‘occupazione di fatto’, certificato poi dallo Stato con diverse sanatorie che si sono succedute dal ’90 in poi“, posto che “al massimo le frequenze sono state ‘acquistate’ con operazioni da ‘privato a privato’, grazie al ‘trading’ introdotto dalla legge 66 del 2001, ma non era mai successo che fossero messe ‘a gara'”. Le frequenze che andranno all’asta, come recita il regolamento del ministero in base al quale sara’ stilato il bando di gara defintivo, sono “singole o molteplici risorse costituite da un insieme di siti di trasmissione e relative frequenze di esercizio presenti nella lista degli assignment italiani definiti dalla Radio Conferenza Internazionale di Ginevra 2006, nonche’ da altri siti e frequenze libere e/o disponibili che saranno allegate al bando”. La traduzione di quanto afferma il ministero – continua Apcom – e’ che all’asta andranno frequenze che sono risultate disponibili dopo la ‘certificazione’ internazionale avvenuta a Ginevra all’inizio dell’anno, e da altre risorse che sono il primo frutto del ‘Catasto delle frequenze’, l’imponente opera di classificazione e verifica dello spettro nazionale, portata a termine a giugno dal ministero e dall’Autorita’ per le Comunicazioni, che ha posto fine, parole del ministro Gentiloni “al far-west delle frequenze degli ultimi 20 anni”. Da questa analisi sarebbe emerso che in Italia sono in attivita’ 24.680 impianti-frequenza, circa la meta’ di quelli di cui si ipotizzava l’esistenza, cioe’ 40 mila. Ma dove vivono i tecnici che hanno fatto queste valutazioni? Sulla Luna? Probabilmente sì, posto che a noi tutte queste frequenze tv inutilizzate sulla terra (italica) non risultano… “Ma a chi andranno queste frequenze, o meglio chi potra’ partecipare alla gara indetta dal ministero?”, si chiede Apcom. Sicuramente non la Rai e Mediaset, visto che la destinazione indicata dal regolamento del dicastero di Largo Brazza’ si pone come obiettivo della gara quello di garantire le frequenze necessarie alle emittenti nazionali, per coprire con il proprio segnale “l’80% del territorio nazionale e tutti i capoluoghi di provincia” come richiesto dalla legge Maccanico del ’97. Problema che non riguarda certo i due ‘colossi’ del settore, ma piuttosto reti nazionali ‘minori’ come Rete A e, forse, Mtv, e altre che da una verifica potrebbero risultare nella stessa situazione”. Ma, udite udite, “le frequenze potrebbero essere reclamate anche da Europa7, l’operatore che pur avendo ricevuto una licenza nazionale, non ha mai iniziato a trasmettere lamentando l’impossibilita’ di entrare in possesso delle frequenze necessarie”. Evvai, ora si cerca di far rientrare dalla basculante del gatto quello che è stato gettato dalla finestra ed è stato impossibile far rientrare dalla porta principale. Ma dobbiamo sempre renderci ridicoli davanti all’Europa e al mondo?

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