Visti agli occhi dei nostri vicini di casa europei, certe volte, noi italiani dobbiamo sembrare davvero un popolo antidiluviano.
All’alba dell’ultimo trimestre del 2012, qualcuno in Italia si è accorto che, mentre i colossi televisivi e le emittenti locali, i garanti, il ministero, e chi più ne ha più ne metta, si dannavano l’anima litigando su conflitti di interessi e passaggio – tardivo – al digitale, nel mondo scoppiava la bomba atomica dei social media. Facebook solo poche settimane fa ha superato quota un miliardo di iscritti nel mondo. Sì, un miliardo di iscritti che, al netto dei popoli dove il digital divide non esiste tra le maglie della società ma semplicemente tra l’intero paese e il resto il globo, ci dice che un settimo della popolazione mondiale ha un account Facebook. L’intera, abbiamo detto: inclusi nonni, nonne e neonati. Quindi, ovviamente, l’incidenza sulla società è di gran lunga maggiore. In Italia ci volevano i tecnici, che puntano a risollevare l’economia investendo sulle giovani startup a svegliare dal letargo un Paese che pare vivere in un’altra epoca. Il governo ora decide che forse è ora di dare più soldi ai giovani dopo che i più vecchi, prima di loro, li hanno sperperati. Ma anche in Italia, ora, qualcuno si accorge che i social media influiscono sui costumi della società italiana quasi più della televisione. Perché Facebook in Italia ha 22 milioni di utenti, di cui 14 milioni lo utilizzano assiduamente. Numeri che doppiano se non triplicano o quadruplicano quelli che fa un normale canale televisivo nel prime time, un qualsiasi programma radiofonico e persino i siti di Corriere, Repubblica e Gazzetta dello Sport. Oggi Mediobanca ha fatto sapere al Corriere delle Comunicazioni che “si preannunciano tempi duri per l’industria tradizionale dei media”. Eureka. Qualcuno si è svegliato. È come quei cartoni animati in cui il gatto e il cane si azzuffano, poi d’improvviso di bloccano, con ancora le zampe e gli artigli infilati nell’occhio o nell’orecchio del contendente, e si rendono conto che l’uccellino è passato, ha rubato loro l’oggetto della contesa ed è volato via. È inutile, però, star qui a fare gli apocalittici: constato il ritardo con cui l’Italia arriva nel mondo dei new media (una generazione secca), occorre rimboccarsi le maniche e capire dove andranno a confluire i nuovi capitali dell’industria mondiale dei media e investire lì. Facebook oggi genera in Italia un valore di 2,5 miliardi di euro, sostiene il Corriere delle Comunicazioni. Ma in Europa, e soprattutto a Berlino, stanno nascendo tanti piccoli fratelli e sorelle minori di Facebook, app per mobile e altri social media più targettizzati. E si sta creando un microcosmo che, nel giro di un lustro, si espanderà fino a diventare un macrocosmo. Se in Italia ce ne fossimo accorti prima, e non avessimo perso una generazione dietro alle leggi per difendere Mediaset e alle diatribe del mercato televisivo, forse oggi saremmo più preparati alla rivoluzione, avremmo investito di più altrove. Ad ogni modo, sempre Mediobanca è entrata nel merito della diatriba tra i giudici amministrativi e le emittenti Mtv e Deejay tv (appartenente a TiMedia per il 51% la prima e facente capo al Gruppo L’Espresso la seconda), che occupano, al momento, i numeri 8 e 9 del telecomando del digitale terrestre. Un’occupazione contestata, in quanto – a detta di molti – Mtv e Deejay Tv non meriterebbero di presidiare posizioni così appetibili (peraltro con dubbi riscontri di audience) in quanto non generaliste. Mediobanca, però, riflette: “Sarebbe molto difficile giustificare una tale scelta chiamando in causa due canali commerciali e lasciando fuori gli altri dal 4 al 7”. Che, poi, sarebbero quelli di Mediaset. Anche se poi aggiunge che ci vorrebbe “un approccio prudente”. (G.C. per NL)