Sembra di essere tornati al 1993, l’Italia nel mezzo di una crisi politica (questa volta anche, soprattutto, economica) e affidata a un governo tecnico e la più grande industria privata di intrattenimento del paese, nonostante lustri di aiuti governativi d’ogni tipo, che versa in un profondo rosso e in cerca di soluzioni per non precipitare del tutto.
Quegli erano anni, però, in cui il tipo di intrattenimento che si stava affermando, più basso, popolare, fatto di donne succinte, battute scontate che prendevano allo stomaco e prodotti riciclati dai format di successo internazionali, era proprio quello proposto dalla grande azienda privata. Oggi la situazione è un po’ differente, con la tv generalista in crisi d’ascolti, l’analogico ad un passo dalla tomba e la fruizione televisiva più spezzettata e sfaccettata. Allora la soluzione apparente a tutti i problemi la trovò il deus ex machina di quella grande industria dell’intrattenimento, il quale, con un colpo di testa e di genio, decise di entrare in politica per tentare di mantenere i suoi privilegi. Oggi quell’uomo, che è ancora il proprietario dell’azienda, ha appena rassegnato le dimissioni da Presidente del Consiglio e nonostante i suoi benefattori in giro continuino a sprecarsi, il colosso che guida da oltre trent’anni non riesce ancora a far quadrare i suoi conti. Mediaset oggi è un gigante in rosso. Il pacchetto Premium, che l’azienda aveva lanciato nel 2004 (subito dopo l’approvazione della legge Gasparri di riforma del mercato radiotelevisivo) per poter competere con il mercato del digitale, è una nave che fa acqua da tutte le parti. Quando, sette anni or sono, fu inaugurato, la data prevista per il break up operativo era il 31/12/2011. Oggi, a poche settimane da Natale, pare che i vertici di Cologno Monzese mangeranno un panettone amaro. Dopo un 2010 chiuso in pareggio, infatti, quest’anno l’azienda ha accumulato ben 50 milioni di euro di debiti. Che, uniti al passivo già esistente, fanno una moltitudine pari a 270 milioni. La ragione del crollo di quest’anno è molto semplice e strutturale. Al di là dei pareri sui contenuti, infatti, fin dal suo esordio, Mediaset Premium punta su un sistema decisamente più “volatile” rispetto a quello solido su cui Sky ha costruito la sua fortuna in Italia, ossia quello basato sul decoder e sulla relazione di lungo periodo e sulla fidelizzazione del cliente grazie al continuo rinnovarsi senza perdere qualità. Mediaset Premium aveva, invece, puntato su un sistema più user friendly, sul consuma-e-se-ti-piace-continua-a-consumare. Grazie a questo concetto era arrivato a un passo dallo storico sorpasso sul rivale Sky. A marzo di quest’anno, infatti, il numero di abbonati toccava 4,2 milioni, poche centinaia di migliaia in meno del network di Rupert Murdoch, che però ha una tradizione molto più antica nella pay tv. Il 30 giugno, però, le schede prepagate, che costituivano quasi la metà del totale degli abbonamenti (1,9 milioni), erano scadute e lì era iniziata la lunga risalita che, a sei mesi di distanza, vede la tv digitale annaspare, avendo recuperato solo un milione, quindi poco più della metà, dei suoi vecchi abbonati. Se a questo buco nell’acqua uniamo il mancato successo della tv on demand, su cui a Cologno puntavano molto (lanciata nel 2009, ha venduto solo 150mila decoder), vediamo davanti a noi uno scenario molto negativo. E se consideriamo che Berlusconi non sembra avere, a breve, la possibilità di tornare al timone del paese, strategie per uscire dalla crisi devono essere trovate sul campo e non tramite aiuti politici e santi in Paradiso. Una soluzione su cui Mediaset Premium punta per ampliare il proprio bacino d’utenza è l’accordo, da poco sottoscritto, con Microsoft per la visione on demand dei contenuti Premium sulla console X Box, di cui in Italia, oggi, ci sono circa un milione di esemplari. “Di queste – afferma Franco Ricci, direttore generale della divisone pay – una gran parte è connessa alla Rete, e circa la metà ha un abbonamento tipo Live Gold che consente di entrare nel servizio Play di Premium”. Un bacino potenziale di circa 3-400 mila utenti, quindi. Certo non basterà, occorreranno manovre strutturali per risanare il bilancio. Vedremo, poi, se questo governo e quello che verrà alla fine del mandato a termine di Monti riformeranno o meno il sistema radiotelevisivo, senza tenere in conto gli interessi di Berlusconi. E se questo dovesse accadere, allora sì che sarebbero dolori per il vecchio biscione. (G.M. per NL)