Diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di azienda, responsabilità civile da errore medico, per diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari ed ecco servito il menù d’ouverture della mediaconciliazione.
Infatti, fino al prossimo anno – quando gli organismi di conciliazione dovranno necessariamente pilotare una composizione bonaria delle liti anche su questioni afferenti la responsabilità civile da circolazione di veicoli o natanti ed in merito a controversie di condominio – in queste materie è da ieri (21/03/2011) obbligatorio esperire, preliminarmente al giudizio di merito, il tentativo di conciliazione. In buona sostanza, come ha avuto più volte modo di chiarire via Arenula, lo strumento messo a punto con il D.Lgs. n. 28/2010 è stato studiato principalmente con finalità deflattive del contenzioso civile, la cui proverbiale lentezza costa allo Stato, in termini di indennizzi ai cittadini per l’eccessiva durata dei processi, circa 82 milioni di euro l’anno (dati aggiornati al 2010, Italia Oggi, 21/03/2011, p. 3). Insomma, la digitalizzazione della Giustizia da sola non può riuscire a mitigare la defatigante successione temporale delle udienze per le parti se non si richiede l’aiuto al mediatore che, coadiuvato ed organizzato nelle sedi di composizione delle controversie da ordini professionali e Camere di Commercio (previa registrazione negli elenchi del Ministero della Giustizia), dovrà chiamare i contendenti entro 15 giorni dalla presentazione della domanda e concludere l’operato in 4 mesi con la verbalizzazione dell’attività e degli incontri svolti. In merito, tre sono gli scenari che potrebbero prospettarsi ai litiganti, ognuno dei quali porta con se precise conseguenze sul piano dell’eventuale successivo giudizio. Primo caso: la mediazione si conclude positivamente convogliando in un accordo transattivo tra le parti (successivamente avallato dal Tribunale), con l’obbligo per i soggetti coinvolti di ottemperare agli impegni presi; secondo caso: i contendenti non si accordano, il mediatore formalizza la mancata conciliazione e si va davanti al Giudice, circostanza – peraltro – che si verifica anche nel caso in cui uno dei soggetti coinvolti non si presenti per il tentativo di composizione, con il deterrente che un tale contegno potrebbe essere valutato dal Giudice divenuto titolare della causa ai fini della ripartizione delle spese di lite; terzo caso: le parti richiedono esplicitamente al conciliatore di proporre una soluzione (ineseguibile senza l’accordo dei litiganti). In proposito, nell’eventualità che la proposta sia respinta da uno dei contendenti, il magistrato investito del contenzioso avrebbe la possibilità – nella ripartizione delle spese di lite – di non tenere conto del principio della soccombenza. Venendo ora all’effettività della procedura, si deve riscontrare – a macchia di leopardo su tutto il territorio nazionale – una serpeggiante disorganizzazione tra gli Enti che dovrebbero costituire i preposti organismi. Escluse le Camere di Commercio già attive da anni sul campo dell’arbitrato e della conciliazione facoltativa, gli Ordini professionali dovrebbero divenire il vero motore della riforma ed i commercialisti sembrerebbero quelli più preparati ad affrontare la sfida; coadiuvati dalla Adr (fondazione del C.N.D.C.E.C. creata appositamente per dare una risposta in tema di gestione di conflitti), hanno già messo a disposizione una trentina di organismi (cfr. Italia Oggi, 21/03/2011, p. 4) e da mesi svolgono una capillare attività formativa degli iscritti. Gli avvocati – che dovrebbero essere la categoria maggiormente coinvolta ed interessata a partecipare attivamente alla riuscita del progetto – si sono persi, invece, nel limbo di un ricorso al TAR Lazio presentato dall’Oua (Organismo unitario dell’avvocatura), in uno stuolo di polemiche sulla presunta illegittimità costituzionale del D.Lgs n. 28/2010 (si dice per aver il legislatore nazionale peccato per eccesso di zelo nell’attuazione della delega rilasciata dall’Unione Europea prevedendo l’obbligatorietà della mediaconciliazione – cfr. Italia Oggi, cit.) e sulla mancanza di un obbligo di assistenza tecnico-legale per le parti. Pantomima, questa, di una corporazione che, storicamente, non sa tenersi al passo con i tempi e crede di poter ancora vivere di una eccentrica quanto anacronistica rendita di posizione. Comunque, polemiche a parte, il dado è tratto e d’ora in poi con circa 40-50 euro si potrà avviare il meccanismo (speriamo virtuoso) di alternative dispute resolution in salsa italiana, che – in prospettiva e nelle intenzioni del legislatore – vorrebbe velleitariamente atteggiarsi a meccanismo di composizione principe per tutte le controversie in campo civilistico avendo tra i propri punti di forza la possibilità di avvalersi di qualificati mediatori suddivisi per settore di competenza con costi scaglionati rispetto al valore degli interessi contesi, da un minimo di 65 euro (tetto di lite 1.000 euro) ad un massimo di 9.200 euro (tetto di lite oltre 5.000.000 di euro). Sicuramente, tra i tanti difetti, l’accento va posto sul non trascurabile pregio di rendere finalmente un po’ più certe le spese alle quali le parti andranno incontro nel dibattere sui contrapposti diritti soggettivi. (S.C. per NL)