Sfida impari tra broadcaster e OTT. Tutti attendono la web tax da Bruxelles.
Comprensibile che ai broadcaster televisivi Google & C. non stiano per nulla simpatici.
Il divario tra gli operatori dei media tradizionali e le risorse dei nuovi giganti del web è un problema che rischia di spaccare il mercato dei media.
Da una parte c’è chi ha colto in ritardo le opportunità del business digitale, dall’altra un oligopolio in continua espansione nei più disparati settori della comunicazione.
Dopo la multa di 2,7 miliardi di euro a Big G da parte dell’Unione Europea per abuso di posizione dominante si attendono sviluppi anche su altri delicati casi.
“Google e Facebook non partecipano ai tavoli tecnici dai quali discendono le decisioni, non consentono a nessun altro sistema di web analytics di tracciare i siti di loro proprietà. L’unico modo per misurare le loro performance è quello di utilizzare le informazioni fornite dai loro sistemi di cui non si conoscono le metodologie di rilevazione e i processi di elaborazione delle metriche” – commentano dall’Agcom.
Alla conferenza “Emozioni on demand. Analisi dell’efficacia di nuove piattaforme per la fruizione di contenuti video e multimediali” andata in scena lunedì all’università Iulm di Milano il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri ha sottolineato come il potere oggi sia concentrato nelle mani di poche aziende che “lucrano sui contenuti prodotti dai broadcaster televisivi e sui contenuti che ogni iscritto cede loro, magari inconsapevolmente, sotto forma di post, foto o video”. Si pensi, ad esempio, a Facebook e ai suoi quasi due miliardi di iscritti in tutto il mondo che garantiscono una invitante platea per qualsiasi investimento pubblicitario.
Ma il gap non è soltanto determinato dal diverso potenziale e dal bacino di utenza.
Una delle spine da risolvere per l’Unione Europea è la par condicio fiscale tra operatori del sistema, questione sempre più complicata in un comparto proteiforme pieno di eccezioni e scappatoie. Da più parti si fa insistente nei confronti di Bruxelles l’omogeneità sulla politica fiscale da adottare anche nei confronti degli over the top americani. Proprio il nostro paese è stato fra i primi a chiedere a Google 306 milioni di euro di tasse arretrate per i ricavi tra il 2002 e il 2015. Una cifra esigua rispetto al fatturato annuo di miliardi di euro in Europa, ma sicuramente un primo passo in attesa della stesura definitiva della web tax. “Le tv si lamentano di avere lacci e laccioli? Sarebbe il caso di introdurre una disciplina diversa sui servizi di video on demand – ha aggiunto Antonio Martusciello, commissario dell’Autorità per la garanzia nella comunicazione – responsabilizzando maggiormente le piattaforme di video sharing”.
Il confronto tra piccoli e grandi non regge se si pensa che nel nostro paese la televisione pubblica ha lanciato una piattaforma IP solo nel 2016: si tratta di Rai Play che distribuisce on demand i contenuti dei canali pubblici e consente di accedere all’archivio multimediale delle produzioni di viale Mazzini.
Il punto di forza della multipiattaforma potrebbe stare nel fatto che, a differenza degli OTT, concentrati principalmente nella diffusione di grandi progetti a livello globale (pensiamo alle serie tv di Netflix), possono produrre contenuti digitale a livello locale assicurandosi importanti spicchi di mercato. (M.R. per NL)