Ad Studio è lo strumento per pianificazioni pubblicitarie self service lanciato in Italia in questi giorni da Spotify. Una piattaforma attraverso la quale l’OTT mira a rastrellare piccoli inserzionisti sul mercato locale. Cioè quello delle radio e dei social.
I prodromi
Quasi due anni, il 26/08/2019, NL anticipava la strategia di Spotify di aggredire il mercato pubblicitario radiofonico italiano.
Prima la pubblicità nazionale, ora Ad Studio per il piccolo inserzionista
Dopo che quella minaccia si era attualizzata sul mercato della pubblicità nazionale, il player dello streaming audio on demand si prepara ad effettuare un dumping sul quello locale italiano. Che, guarda caso, è praticamente sovrapposto a quello della radiofonia locale (e dei social, Facebook in testa).
Piccoli budget (non) crescono. E quindi vengono sottratti a chi li gestisce
Se il mercato di riferimento è indiscutibilmente quello della radio locale, l’approccio è quello di Google e di Facebook. Cioè il self-adv attraverso un budget minimo di 250 euro, sulla piattaforma Ad Studio. Dove Ad, ovviamente, sta per Advertising.
La crescita degli utenti di Spotify: + 13% nel 2020
La fruizione di audio attraverso la piattaforma di Spotify (sia musica che audio podcast, segmento su cui la piattaforma SOD punta sempre di più) sta costantemente aumentando.
Secondo l’OTT audio, negli ultimi tre mesi del 2020 sono stati registrati mediamente oltre 11 milioni di utenti attivi (+13% rispetto al 2019). Con una prospettiva di crescita analoga nel 2021.
Il modello Ad Studio: come Facebook e Google
Ad Studio, sul modello delle autopianificazioni pubblicitarie di Facebook, seleziona il pubblico “in base ai dati demografici, compresi età, sesso e geotargeting”. Il tutto per raggiungere “gli ascoltatori attraverso i loro interessi e ciò che stanno facendo, sulla base di ciò che stanno ascoltando. Gli annunci in ambito musicale possono anche servirsi del targeting sulla fan base dell’artista promosso“.
Budget da 250 euro. Cioè il mercato delle radio locali e dei social
Che l’inserzionista ideale sia il piccolo pianificatore di pubblicità su radio locali e su Google e Facebook lo si comprende dalla soglia di investimento: 250 euro.
Se l’inserzionista ha un annuncio video o audio pronto (per esempio se è già cliente di una emittente radio o tv locale) può caricarlo direttamente. Oppure può utilizzare gli “strumenti e servizi creativi gratuiti per creare un annuncio audio“.
Il mercato delle voci. In house
A riguardo, Spotify spiega di poter realizzare l’annuncio “con una voce fuori campo registrata professionalmente e personalizzata e con della musica di sottofondo, il tutto senza costi aggiuntivi”.
Feedback delle campagne
Spotify assicura report “ricchi di dati, facili da leggere e accessibili in tempo reale” che “includeranno i dati di erogazione dell’annuncio, le relative performance e approfondimenti sul pubblico colpito”. Anche grazie alla possibilità di completare l’annuncio audio “con un link cliccabile dagli ascoltatori per consentire loro di visitare il sito Web o l’app”.
Presa di coscienza
L’iniziativa di Spotify impone una presa di coscienza immediata da parte degli editori radiofonici. Una reazione che non potrà, però, che prendere le mosse dal medesimo terreno in cui si gioca il confronto: il web.
Come abbiamo più volte spiegato su queste pagine, il modello di adv radiofonico basato sul classico spot audio da 30″ è ampiamente superato.
Come reagire?
“La competizione deve essere spostata in chiave 4.0”, spiega Giovanni Madaro, economista di Consultmedia, che da tempo sta studiando l’evoluzione del presidio del mercato pubblicitario locale da parte degli OTT. “Per esempio (ma è solo uno dei tanti), attraverso lo sfruttamento commerciale di podcast territoriali. Argomenti su cui gli OTT sono ancora deboli, data la loro centralità organizzativa e la mancanza di presidio umano. Solo così le emittenti locali avranno la possibilità di resistere all’aggressione. E, anzi, di evolvere secondo le nuove dinamiche adv”, conclude Madaro. (M.L. per NL)