L’economia cinese sta tirando alla grande, tanto che il paese del Dragone ha ormai superato quello del Sol Levante, collocandosi al secondo posto delle economie mondiali, preceduta solo dagli USA.
Ma se gli affari di Pechino vanno benissimo, altrettanto non si può dire dell’immagine diffusa dai media di tutto il mondo, che quotidianamente puntano il dito su aspetti socioculturali critici, come la condizione dei lavoratori, la libertà d’informazione e lo scarso rispetto dell’ambiente. Un biglietto da visita decisamente poco appropriato per quella che ambisce entro i prossimi quindici anni a diventare la prima economica del pianeta. Così, per cominciare, il governo cinese ha attivato un ufficio di portavoce del Partito per recuperare il rapporto con i media internazionali, messo a dura prova dalle vicende politiche interne degli ultimi anni. Sempre in questa direzione, la Xinhua News Agency, la maggiore agenzia di news del paese (10.000 impiegati), espresso spin-off governativo, insieme all’operatore di telefonia cellulare China Mobile sta lanciando un nuovo motore di ricerca, in concorrenza con Google e con il locale Baidu (70% del mercato) e ha promosso un servizio di news televisive mondiali lungo le 24 ore: il canale CNC, diffuso via sat senza intermediari. La China News Network Corporation, equivalente nazionale della CNN americana (anche come nome, stile e grafica), ha l’obiettivo di esporre in inglese e ad una platea di 50 milioni di spettatori nel primo anno il punto di vista di Pechino su tutti gli eventi mondiali. Il presidente di Xinhua News Agency, Li Xinhua Congjun, ha così descritto la missione della all news mondiale: "La CNC vuole offrire una visione migliore della Cina al suo pubblico internazionale e dare la possibilità a voci diverse di essere ascoltate dal resto del mondo. Saranno trasmesse notizie in modo tempestivo e oggettivo, sarà una nuova fonte di informazione per un pubblico globale". Ma tutto ciò, evidentemente, non basta per supportare l’immane politica commerciale mondiale del Paese Centrale e allora, per ripulire la propria immagine e per coltivare aree di business più vaste, i cinesi stanno pensando di fare shopping editoriale nei paesi dove hanno o concentreranno a breve i loro principali interessi economici, così da rendere più attendibile la propria versione dei fatti. In tal senso, negli USA un primo tentativo condotto dal gruppo editoriale cinese Southern Daily di acquistare il rinomato e autorevole settimanale americano Newsweek è fallito, ma c’è da giurare che presto gli uomini della Muraglia ci ritenteranno e non solo nella direzione della carta stampata (nel mirino ci sarebbero anche Bloomberg, Time Warner e Viacom). In Italia, dove i cinesi sono ormai radicati, la normativa vigente renderebbe complicata l’acquisizione del controllo di società radiotelevisive, ma un ingresso più in sordina in vista di scenari legislativi meno stringenti non sarebbe affatto un problema. E, infatti, pare che alcune operazioni di tal guisa siano allo studio, trovando un perfetto punto d’incontro l’enorme liquidità cinese e la fame di organismi d’informazione autorevoli, con le difficoltà finanziarie dell’editoria italiana, in tutte le sue espressioni. D’altra parte l’Italia ha molte affinità con la Cina. In tema di controllo e di strumentalizzazione dell’informazione, per esempio, abbiamo ancora molto da insegnare alla Repubblica Popolare. (A.M. per NL)