Gli americani paiono prendere più sul serio i vincoli del Regolamento UE 2016/679, il famigerato GDPR, di quanto facciano i cittadini UE ed in particolare quelli italiani: sono già molti infatti i siti web (perlopiù di informazione) inaccessibili agli internauti europei dal 25/05/2018. Il rischio infatti, è considerato dai player troppo grande.
“Gli editori hanno avuto due anni di tempo per prepararsi (il GDPR è appunto un provvedimento del 2016), ma il Regolamento sembra averli presi alla sprovvista: il modo in cui è strutturato è considerato eccessivamente complesso per quegli enti che hanno utilizzato per anni – ed hanno ancora in archivio – i dati dei visitatori. Così i precetti del GDPR potrebbero anche mettere a rischio la circolazione dell’informazione”, ha commentato la futurologa ed articolista Amy Webb, fondatrice del Future Today Institute, su Nieman Reports.
“Il GDPR include il “Diritto all’oblio”, che consente alle persone di richiedere che i motori di ricerca e le altre piattaforme online che trattano dati personali rimuovano informazioni specifiche su di loro. Ciò consente ad un cittadino UE di richiedere a Google di rimuovere informazioni rilevanti anche per i terzi, a danno della libera diffusione delle notizie. Anche se ci sono alcune esenzioni per proteggere i giornalisti e i ricercatori, è possibile che progetti il Movimento MeToo (diffusosi in modo virale a partire dall’ottobre 2017 come hashtag usato sui social media per aiutare a dimostrare la diffusa prevalenza di violenza sessuale e molestie, subita dalle donne, dopo le rivelazioni pubbliche di accuse di violenza sessuale contro Harvey Weinstein, ndr) che ha condotto alla premiazione del New York Times e del New Yorker al Premio Pulitzer “per il servizio pubblico” e che si basa su una quantità enorme di dati personali, possano essere vincolati addirittura in paesi democratici che sostengono i principi della libertà di parola. I soggetti di quelle storie potrebbero infatti opporsi e chiedere che i loro nomi e le somiglianze vengano rimossi”.
“Non è uno scenario ipotetico: stazioni all news, come come la tv della Carolina del Nord WRAL, così come il Los Angeles Times, il Chicago Tribune, il New York Daily News, il Baltimore Sun e l’Orlando Sentinel (tutti recanti il medesimo avviso, ndr) in attesa di approfondire i rischi di eventuali azioni da parte degli utenti hanno introdotto un geoblocking dall’UE”, spiega Giulia Cozzi, giurista del Dipartimento GDPR di Consultmedia (struttura di competenze a più livelli collegata a questo periodico).
E intanto sono già giunti gli inevitabili primi ricorsi di cittadini UE contro gli OTT del web: l’organizzazione non governativa “None of Your Business” di un giurista attivista austriaco per la difesa della privacy (Max Schrems), ha promosso azioni legali contro Google in Francia, Instagram in Belgio, WhatsApp in Germania e Facebook in Austria accusandoli di estorcere consensi. “Finestre pop-up compaiono dappertutto invitando ad esprimere il consenso a pena dell’impossibilità di usare un dato servizio. Ma il GDPR vieta esplicitamente ciò“, ha denunciato Schrems in un’intervista ad AFP (Agence France Presse).
“I rischi sono sanzioni milionarie, verso le quali sono certamente preparati colossi come Facebook, WhatsApp e Twitter, mentre non lo sono – o comunque non possono accettare il rischio – player minori o addirittura piccoli portali di informazione indipendente“, annota Giulia Cozzi.
Potrebbe quindi accadere che i buoni propositi del GDPR conducano ad una fortissima concentrazione della gestione dell’informazione in capo agli OTT del web o delle news. La cura peggiore del male, insomma. (M.L. per NL)