È sempre più arduo immaginare quale sarà l’evoluzione della situazione politica e del Governo, anche per via di quel che è accaduto in Commissione di Vigilanza sul ‘caso Foa’ in Rai. Sembra di poter dire, dopo un voto che ha visto Lega e Cinquestelle su fronti opposti, che almeno in tema di media i due partiti di Governo non solo marciano divisi ma si comportano come se avessero strategie radicalmente diverse.
Vediamo cosa è successo in Vigilanza, intanto. Dopo vari rinvii, si è arrivati al voto rispetto a una situazione che vede il presidente della Rai Marcello Foa ricoprire anche la carica di presidente della controllata RaiCom (si occupa della commercializzazione dei diritti Rai), un doppio ruolo che secondo varie interpretazioni è non solo inopportuno ma anche contrario alle norme che regolano la vita dell’azienda.
Anche i Cinquestelle alla fine hanno deciso per il no al doppio incarico – la stessa posizione del PD, di fatto – , da sancire anche con un voto e da ‘imporre al Cda Rai’, mentre la Lega naturalmente ha difeso fino alla fine le ragioni di Foa.
Una prima risoluzione presentata dal PD è stata bocciata, come previsto, ma poi la maggioranza della Vigilanza (e dunque anche il PD) ha votato sì a quella presentata dai Cinquestelle (in prima linea ci sono Paragone e Di Nicola), che nei fatti non sostiene tesi diverse: Foa, in sostanza, non può mantenere il doppio incarico, tranne che per la Lega e pochi altri (la votazione è finita 21 a 9). La risoluzione approvata impegna anzi Foa a lasciare molto velocemente l’incarico di presidente di RaiCom.
Sarà così? Non c’è certezza in merito, perché qualcuno ritiene che Foa resisterà e non lascerà RaiCom, che la Lega si impunterà, insomma, anche se un braccio di ferro simile sarebbe abbastanza ‘esplosivo’ per la gestione dell’azienda, e non solo.
Per ora in un comunicato la Rai ha preso atto del voto in Vigilanza, e, “pur convinta della correttezza del proprio operato”, effettuerà “tutte le valutazioni conseguenti nel prossimo Consiglio di amministrazione”. E in Cda potrebbero esserci scintille, anche se la Lega sembra piuttosto isolata (potrebbe forse aiutarla, tuttavia, la posizione di Fratelli d’Italia), visto che l’Usigrai è all’attacco e vorrebbe Foa subito dimissionario e lo stesso Consigliere indipendente Laganà aveva già da tempo sollevato il caso. Sembra fra l’altro abbastanza improbabile che l’AD Salini si impegni nel difendere Foa andando contro il Parlamento e il Partito (i Cinquestelle) che l’ha voluto al vertice di Viale Mazzini.
Si può anche obiettare che si tratta solo di un episodio occasionale ma le cose non stanno esattamente così. La scorsa settimana il Movimento 5 Stelle aveva subito in Commissione alla Camera, nell’ambito della discussione sul Decreto Crescita, il voto che aveva concesso altre 3 milioni di euro per quest’anno a Radio Radicale, anche se questi ulteriori fondi non sono legati alla Convenzione per la trasmissione dei lavori parlamentari ma sono una sorta di finanziamento-ponte in attesa della famosa gara da bandire per i ‘servizi radiofonici istituzionali’. In questo caso è stata la Lega a votare con il PD, e contro i Cinquestelle, il nuovo esborso.
Sembra di poter dire, dunque, che la divergenza fra i due partiti è decisamente forte in tema di media. Non a caso proprio adesso venti deputati grillini hanno depositato una proposta di riforma della governance Rai che cambierebbe totalmente, di nuovo, il volto dell’azienda di Viale Mazzini e che prevede fra l’altro quella che sembra diventata un’idea ricorrente per i Cinquestelle, ovvero la scelta dei membri del Cda della Tv pubblica tramite sorteggio.
“Serve subito approvare una legge per spezzare il legame tra la politica e la Rai. La Tv pubblica è dei cittadini che pagano il canone, non dei politici – ha sottolineato il vicepremier Di Maio – . Fra l’altro la riforma della Rai è nel contratto”.
Salvini, che ha occupato per la Lega varie posizioni nell’azienda in questo anno di ‘nuova gestione’, sembra sostenere un’altra linea: “Sulla Rai è giunto finalmente il momento di entrare nel merito del cambiamento. Tagliare i megastipendi e ridiscutere il modello organizzativo premiando i lavoratori interni. Non si capisce perché occorra sempre affidarsi ad agenti esterni. Bisogna portare il merito”.
E infine c’è un ultimo fronte, affatto secondario, su cui le posizioni dei due vicepremier non coincidono: quello dei giornalisti e dell’Inpgi. La Cassa previdenziale dei giornalisti, si sa, è in precaria salute finanziaria (non staremo a rivangare le ragioni di questa situazione, che sono di lunga data e assai complesse) e c’è chi teme il commissariamento imminente, con magari il successivo passaggio forzato all’Inps. Da vari mesi si discute di un ampliamento della ‘platea contributiva’, visto che il progressivo calo dei giornalisti assunti fa declinare anche i contributi pagati all’Inpgi, affiancando ai giornalisti stessi la più vasta categoria dei ‘comunicatori’ (uffici stampa, marketing e molto altro). Ciò porterebbe molte più entrate e fra l’altro ‘i comunicatori’ non sembrano contrari all’idea di passare dall’Inps all’Inpgi.
Un provvedimento in questo senso viene proposto da tempo dalla Lega ma i Cinquestelle l’hanno finora di fatto bloccato (è nota la più o meno accentuata avversione dei grillini per la categoria giornalistica). Siccome però il problema dell’Inpgi è diventato nel frattempo pressante e il Decreto Crescita è diventato un ‘omnibus’ che contiene disposizioni di vario tipo (fra l’altro deve essere approvato molto a breve, pena decadenza), è stata inserita nel provvedimento anche una norma di compromesso che serve soprattutto a ‘prendere tempo’ per l’Inpgi, come al solito, ma delinea anche la prospettiva dell’ampliamento della platea contributiva di cui sopra.
L’ultimo testo votato dalle Commissioni Bilancio e Finanze della Camera prevede lo stop al commissariamento dell’Inpgi fino al 31 ottobre 2019 (a correzione in extremis del precedente termine del 31 dicembre 2019, con proteste e polemiche) e poi 12 mesi di tempo, a partire dalla conversione del Decreto Crescita, per avviare la riforma dell’Istituto e riequilibrarlo sotto il profilo finanziario, a partire “dal contenimento delle spese e in subordine agendo sulle entrate contributive”.
Entro 18 mesi l’Inpgi dovrebbe poi trasmettere ai Ministeri vigilanti “il bilancio tecnico attuariale che certifichi gli effetti delle misure adottate” e qualora ci siano ancora grossi problemi per la stabilità nel medio-lungo periodo, il Governo “al fine di ottemperare alla necessità di tutelare la posizione previdenziale dei lavoratori del mondo dell’informazione” adotterà uno o più regolamenti per disciplinare l’ampliamento della platea contributiva dell’Inpgi.
Quest’ultima prospettiva, nonostante il tempo che ci si prende, sembra a questo punto probabile, altrimenti potrebbe tornare lo spettro del commissariamento, peraltro escluso per adesso solo fino al 31 ottobre.
Il sottosegretario Crimi ha sottolineato che la soluzione è provvisoria, ha invitato l’Inpgi a tagliare le pensioni più alte (ma la prospettiva sembra francamente improbabile e legalmente assai dubbia) e prospettato l’idea che se davvero entrassero nell’Inpgi ‘i comunicatori’, l’esistenza dello stesso Ordine dei Giornalisti dovrebbe essere ridiscussa. La Lega, anche qui, sembra attestata su tutt’altra linea. (M.R. per NL)