Media e diritto. Quando la libertà di stampa è ancora una dura conquista

I media sono lo specchio della nostra società, se sono liberi e critici siamo liberi e siamo sicuri anche noi”: così si è recentemente espressa Federica Morgherini, capo della diplomazia europea, in occasione della Giornata internazionale per mettere fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti (istituita nel 2014 dall’Unesco) che si è celebrata il 2 novembre.

La Mogherini ha riportato all’attenzione pubblica gli attacchi contro i giornalisti in tutto il mondo e ha sollecitato le autorità degli Stati a indagare in modo approfondito e indipendente sui crimini, assicurando i responsabili alla giustizia. “Gli attacchi non sono solo contro le vittime, ma anche contro la libertà di espressione e dei mezzi di comunicazione”, ha dichiarato Mogherini, in un momento in cui “i giornalisti affrontano intimidazioni e violenze sempre maggiori”. Sull’argomento si è parimenti espressa la la Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ): per quanto riguarda gli attacchi non mortali, poi, la situazione sarebbe “ancora peggiore” perché i governi “non riescono nel loro dovere di perseguire i responsabili”. “L’impunità”, ha aggiunto Federica Mogherini, “mette in pericolo non solo i giornalisti, ma anche la democrazia e le speranze di pace e di sviluppo”. La giornata del 2 novembre non può che riportare all’attenzione pubblica il ruolo dell’informazione nella società moderna, ricordando anche il tanto temuto rovescio della medaglia, ovvero quell’informazione negata, torturata, falsificata, manipolatoria della pubblica opinione. E poi quella di Stato, nell’infinito conflitto fra gli interessi egoistici inseriti nelle rondelle della macchina governativa e l’incommensurabile dovere di ergersi a soggetto super- partes, detentore di quell’ultima giustizia da molti così tanto aspirata. Le cifre lasciano poco spazio all’immaginazione: dal 2006 sarebbero più di 700 i giornalisti trucidati in molte parti del mondo. Notando, poi, che nove volte su dieci i responsabili l’hanno fatta franca, l’indignazione pubblica non può che aumentare, anche se la motivazione sottesa alla base può facilmente essere intuita, se consideriamo che la maggior parte degli uccisi vive e lavora in paesi dove lo Stato di diritto quasi non esiste o non esiste del tutto. In realtà, se poi vogliamo dirla tutta, il problema non si estende solo ai giornalisti uccisi perché hanno utilizzato il mezzo stampa per dire, o cercare di dire, la verità. No. Il problema riguarda tutti i giornalisti che non possono ergersi a portatori di verità, perché, ai molti che perseverano nel nobile intento di portare in alto la verità, viene semplicemente tolta la voce, con l’allontanamento dal luogo di lavoro o con la creazione di condizioni che precludano ad essi la possibilità di informare correttamente il pubblico. Nessuno uccide fisicamente questi giornalisti, ma ugualmente è sempre qualcosa a morire: la libertà di stampa. Ed è questione d’importanza imprescindibile per i destini della democrazia nella sua interezza. Le vittime della menzogna sono milioni di persone, colpite senza nemmeno saperlo. E’ sufficiente oscurare una notizia perché la maggior parte della popolazione mondiale non sappia neppure che essa è esistita. Basta prendere ad esempio l’Ucraina, dove ancor oggi sono molti i giornalisti che muoiono nel tentativo di esporre la realtà oggettiva dei fatti, ma i giornali e le televisioni tacciono. Libert%C3%A0%20di%20stampa - Media e diritto. Quando la libertà di stampa è ancora una dura conquistaNon se ne accorgono, o non vogliono accorgersene. Una giornalista inglese, Jacky Sutton, ex giornalista della Bbc, viene trovata impiccata due settimane fa nel bagno dell’aeroporto di Istanbul, l’indignazione perdura solamente per poche ore. Serena Shim, 30 anni, muore nelle stesse ore mentre rientra in un albergo dopo aver lavorato a Suruc, nella provincia turca di Sanliurfa: la giornalista aveva riferito ai colleghi di Press Tv che l’intelligence turca la stava accusando da tempo di spionaggio. Anche qui, la fiamma sollevata dalla morte dagli oscuri connotati, si estingue presto. Non pensiamo che l’Europa sia esente da fatti pressoché aberranti: lo scorso gennaio, in Germania, un redattore dell’Handelsblatt, il più importante quotidiano economico, si era rivolto a un tribunale della Turingia per richiedere la motivazione della condanna per corruzione di un ex ministro degli interni del Land. Il giudice, senza apparente giustificato motivo, negò la visione dei documenti, limitandosi ad affermare che la sentenza non era ancora definitiva e che andava pertanto tutelata la figura dell’imputato. Il Bunderverfassungsgericht (la Corte Costituzionale tedesca), tuttavia, non ha condiviso la motivazione e, forse smossa da un sentimento di giustizia, teso a smuovere, con la propria autorevolezza, la coscienza collettiva internazionale contro il substrato di soprusi, ha deciso di intervenire in difesa del giornalismo investigativo e della libertà di stampa. “Una sentenza di grande importanza per la stampa tedesca”, ha commentato il sito online Meedia. E una sentenza importante, in realtà, per tutto il mondo, un esempio che potrebbe far da traino alle nazioni che faticano ancora ad imprimere la giusta impronta difensiva alla libertà di stampa: l’importanza del diritto dei lettori ad essere informati non ha certamente bisogno di essere spiegata. Il fatto risale al gennaio dell’anno scorso: il tribunale regionale di Meiningen condannò l’ex ministro cristianodemocratico Christian Köchert per aver favorito ben due imprenditori nella costruzione di un parco eolico nella zona di Eisenach. In cambio di denaro, Köchert si era maneggiato perché venissero concesse le autorizzazioni necessarie. L’imputato fu condannato con la condizionale, il pubblico ministero fece ricorso, e la causa fu discussa in appello nel marzo seguente. L’ex ministro venne ritenuto ancora colpevole, ma i giudici decisero che l’entità della pena fosse stabilita in seguito. In giugno l’azienda di pale eoliche, andò incontro a gravi difficoltà economiche: a questo punto il giornalista dell’Handelsblatt cercò di indagare con palesato spirito giornalistico, ma il tribunale della Turingia pose il veto sulla pubblicazione degli atti.Giornali%20online giornali%20cartacei - Media e diritto. Quando la libertà di stampa è ancora una dura conquista Il quotidiano tentò, a quel punto, di ottenere una decisione della magistratura in favore della libertà di stampa, ma la procura di Erfurt, da cui dipende Meiningen, tentò più volte di bloccare l’inchiesta, utilizzando ogni mezzo legale a disposizione, in attesa di una sentenza definitiva. Anche se i procedimenti civili e penali in Germania sono molto più snelli che in Italia, in un caso così complesso possono passare molti anni. A dispetto di alcuni pareri la Corte di Karlsruhe ha finalmente dato all’Handelsblatt: “Una sentenza chiara e che eviterà in futuro altri ostacoli alla libertà di informare” ha commentato Konstantin Wegner, l’avvocato che ha difeso i diritti del giornalista. E se in Germania le cose sembrano migliorare sul piano dei diritti a mezzo stampa, in Turchia la situazione lascia ancora molto a desiderare: le elezioni nazionali, vinte dal partito islamico Akp del presidente Tayyip Recep Erdogan, sono state caratterizzate da assoluta mancanza di libertà di espressione e da violenze che hanno “ostacolato la campagna” elettorale. Lo ha denunciato a gran voce l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) in una nota: “Anche se i cittadini turchi potevano scegliere tra reali e forti alternative politiche in queste elezioni altamente polarizzate, il rapido declino nella varietà dei mezzi di comunicazione e le restrizioni alla libertà di espressione hanno influenzato il processo e destano preoccupazione”. La pressione sui giornalisti che operano in Turchia è esponenzialmente aumentata tra le elezioni parlamentari dello scorso 7 giugno e le elezioni del primo novembre, sfociando in un episodio senza precedenti in Turchia (dopo il colpo di stato militare del 1980): il giorno 28 ottobre, trenta poliziotti in borghese hanno fatto irruzione nella sede del gruppo editoriale Ipek Koza Holding, oscurando le trasmissioni in atto che mostravano le immagini di una protesta di fronte alle sedi di Kanaltürk TV e Bugün Daily ad Istanbul. Human Rights Watch, organizzazione non governativa internazionale che si occupa della difesa dei diritti umani, ha definito il fatto “Un attacco ad una fortezza di stampo medioevale”. E di altri esempi, lontani e recenti, se ne potrebbero fare ancora: quel che fa specie è che, in un’epoca che si erge a culla del raziocinio e della modernità, la libertà di stampa sia ancora un diritto da conquistare in molte nazioni, anche in quelle, a prima vista, più progredite. E all’ora dove va a finire quell’articolo 21 tanto caro alla nostra vecchia Costituzione? Quid est enim libertas? La risposta ben potrebbe risiedere Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: “Chiunque ha il diritto alla libertà di opinione ed espressione; questo diritto include libertà a sostenere personali opinioni senza interferenze ed a cercare, ricevere, ed insegnare informazioni e idee attraverso qualsiasi mezzo informativo indipendentemente dal fatto che esso attraversi le frontiere”. (S.F. per NL)

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