Dopo l’annuncio dell’accordo tra TF1 e Bertelsmann per l’acquisizione dei canali televisivi (e radiofonici) del gruppo M6 da parte di Bouygues, è iniziata in Francia un’importante discussione sull’opportunità ed i pericoli dell’operazione definita significativamente “big bang” o “sisma”.
Una trasmissione di ben 45 minuti è stata dedicata a questo probabile merge dalla radio pubblica France Culture, con il significativo titolo di “Occorre la concentrazione per sopravvivere?” .
Le voci a supporto
Le voci a supporto dell’operazione di Bouygues – la grande maggioranza – parlano della necessità di essere sempre più grandi per competere con la dimensione dei mastodonti americani e dell’importanza della difesa della creatività francese contro l’invasione di serie e format americani.
Un’impronta decisamente locale
Mentre è vero che le due reti producono molti contenuti locali, una rapida analisi dei palinsesti (con relativa visione delle trasmissioni, per chi riesce a digerirle) mostra come si tratti per la gran parte di contenuti molto centrati su un certo gusto francese e di poco appeal internazionale, perfino per noi “cugini” italiani.
Reality check – Netflix
Quello che non abbiamo sentito dire nell’ambito del deal Bouygues è invece il fatto che la Francia vanta numerose produzioni originali su Netflix. Oltre al successo internazionale di Lupin, l’algoritmo ci propone nella giornata di lunedì 24 maggio 2021 “Madame Claude”, “Marsiglia”, “Family Business” ed altri ancora. Tutte produzioni locali, che pur mantenendo il french touch sono indubbiamente di standard internazionale (sia narrativo che tecnico). Pare dunque che la concorrenza di Netflix abbia per ora fatto solo bene all’industria dei contenuti francese.
Le argomentazioni non convincenti del patron di M6
Primo fra i sostenitori del “contrasto ai giganti USA” è Nicolas de Tavernost, CEO di M6 e futuro CEO del nuovo gruppo Bouygues. Tesi ribadita con forza anche durante un’audizione al Senato Francese.
Emozioni più che argomentazioni
De Tavernost pare giocare più sull’emozione delle frasi fatte che su solide basi numeriche. Gioco facile con l’audience dei senatori, alcuni dei quali sono conosciuti per snobbare la televisione, dunque facili preda delle affermazioni nazionaliste.
Modelli di business differenti
Nella trasmissione di France Culture citata in apertura viene spiegato come TF1 e M6 abbiano un modello gratuito basato sulla pubblicità, mentre Netflix, Disney+ e Amazon Prime sugli abbonamenti: da questo punto di vista le società operano su mercati totalmente differenti. In nessun modo la raccolta pubblicitaria delle reti tradizionali pare minacciata dagli OTT.
Audience lineare stabile
Inoltre – fanno notare importanti attori del mercato della produzione dei contenuti – non si capisce dove sia il grande pericolo posto dagli OTT visto che per il momento l’audience della TV tradizionale non è affatto diminuita.
Diritti sbilanciati a favore degli autori
Ci sarebbe un argomento a favore di de Tavernost, stranamente non toccato durante la deposizione parlamentare.
La legge francese è molto orientata alla protezione dei diritti degli autori, anche a scapito della distribuzione. Accade quindi che un progetto, anche se finanziato da un broadcaster, risulti licenziato per la sola trasmissione tradizionale sul canale del broadcaster stesso.
Situazione riassunta efficacemente da Maxime Saada di Canal+: “Quando anche finanziamo una serie al 100% non diveniamo proprietari dei diritti e siamo costretti a riacquistarla per la trasmissione on VOD in ciascuno dei 40 paesi in cui siamo presenti.”
Ovviamente il gruppo TF1/M6 combinato avrà una capacità di lobbying ben superiore ai singoli broadcaster faccia a faccia con il ministero della cultura, quando si tratterà di legiferare sulla questione dei diritti.
SALTO
Viene anche sottolineato che un Netflix francese esiste già: si tratta della piattaforma SALTO, creata da France Television TF1 e M6. La logica suggerirebbe che il contrasto a Netflix debba passare per un rafforzamento di questa piattaforma e non per un’operazione che riguarda i tradizionali canali free-to-air.
M6
Abbiamo visto come la presidenza del futuro gruppo Bouygues TF1/M6 andrà al CEO di M6 e non – come parrebbe logico, considerato che si tratta della parte acquirente – a quello di TF1.
Cost Killer
E de Tarvernos ha una chiara fama: quella di cost killer. Ovvero quella categoria di manager che ottengono il plauso dei board non espandendo il business, ma tagliando sui costi. E in questo caso probabilmente aumentando i prezzi.
Bouygues, un cartello
Si, perché se da un lato la mancanza di concorrenza tra i due principali committenti nazionali permetterà al gruppo Bouygues di strozzare i produttori di contenuti (che si ritroveranno con un solo interlocutore dominante). Dall’altra, permetterà alle due reti di aumentare le tariffe pubblicitarie, o quantomeno di ridurre fortemente gli sconti.
Bertelsmann
Anche per parte tedesca, come riportato dal quotidiano Italia Oggi, la strategia del gruppo guidato da Thomas Rabe sembra quella della concentrazione: e anche in questo caso si punta a focalizzarsi sul mercato domestico, tanto da far circolare la notizia di un interesse per la fusione con ProSeieben-Sat.1. A questo fine il gruppo tedesco utilizza le stessa argomentazioni di de Tavernost: la terribile concorrenza di Netflix & Co.
Strategie simili
In entrambi i casi – francese e tedesco – simile dunque la strategia: focus sulla nazione d’origine tramite consolidamento in patria e riduzione dei costi. A danno di autori, della filiera di produzione e degli inserzionisti.
Mediaset
Opposta la strategia di Piersilvio Berlusconi, che da anni parla di un’espansione all’estero al fine di diventare – sue parole del 2019 – “l’unico broadcaster free paneuropeo.”
Strategia a lungo rallentata dalla contesa con Vivendi, ma che potrebbe oggi ripartire grazie alla pace fatta tra i due contendenti.
ProSieben-Sat.1
E qui nasce un possible conflitto con Bertelsmann. Rabe ha infatti reso noto il suo interesse per una possibile fusione del canale PRoSieben-Sat.1 con il gruppo RTL. E’ noto pero’ che lo stesso canale sia partecipato nella misura di 23,5% da Mediaset, che anzi lo vede come strategico per il piano d’espansione europeo.
Equidistanza
In un’uscita molto politically correct, ProSieben ha fatto sapere tramite l’agenzia Reuters di non essere in discussione con Mediaset riguardo ad una possibile fusione e contemporaneamente di ritenere l’espressione di interesse avanzata da Bertelsmann non ‘rilevante’. Problema rimandato all’anno prossimo, data prevista per il rinnovo del board del canale tedesco.
L’Europa delle banane
In questo quadro come si muove l’Unione Europea – nota per le iniziative riguardanti classificazione e forma delle banane (no, non è una bufala) e la repressione di Google tramite sanzioni esemplari? Sono in campo iniziative per favorire la nascita di un Netflix europeo?
Un’immagine vale mille parole
Una prima ricerca sul sito dell’unione europea con le parole chiave ‘audiovisual and media policy” ci ha mandato su una pagina con l’illustrazione delle mani di un agricoltore e nessun contenuto.
Ci e’ andato meglio ad un secondo tentativo, dove siamo giunti ad una pagina con ben sette linee di testo.
Vista la presenza sulla pagina stessa della possibilità di fornire un feedback, abbiamo provato a scrivere, chiedendo esplicitamente conto della apparente mancanza di iniziative sul fronte OTT. Non mancheremo di pubblicare l’eventuale risposta su queste pagine.
Il Netflix europeo è Netflix
Per ora, per dirla con le parole di un noto commentatore su un forum specializzato, “The Netflix equivalent in Europe is Netflix, as it is now available in every country in Europe”. E forse è bene così. (M.H.B. per NL)