Un giudice distrettuale statunitense, Leonie Brinkema, presso l’Eastern District della Virginia, ha stabilito che Google ha monopolizzato illegalmente i principali mercati pubblicitari online a danno degli altri media.
La decisione (coerente con altri provvedimenti adottati da giudici americani su altri aspetti dell’attività dell’OTT) è stata esaltata dalla National Association of Broadcasters (NAB), l’ente esponenziale degli editori radiotelevisivi americani, in quanto “convalida le preoccupazioni di lunga data circa l’influenza delle Big Tech sui flussi di entrate digitali essenziali per il giornalismo locale”.
Sintesi
Una sentenza storica della Corte distrettuale della Virginia, firmata dalla giudice Leonie Brinkema, ha accertato che Google ha detenuto e mantenuto un doppio monopolio nei mercati dell’ad tech, violando le regole antitrust USA.
Il colosso ha infatti dominato sia l’exchange pubblicitario che gli ad server, compromettendo l’equilibrio concorrenziale e penalizzando editori e consumatori.
La decisione, che apre la strada a possibili rimedi strutturali come la cessione forzata di Google Ad Manager, è stata accolta con favore dalla NAB, l’associazione degli editori radiotelevisivi, che ha colto l’occasione per rinnovare la pressione sulla Commissione federale sulle comunicazioni (FCC) affinché rimuova i limiti alla concentrazione nel settore radiofonico, oggi impossibilitato a fronteggiare la concorrenza delle Big Tech.
Il presidente NAB, Curtis LeGeyt, ha denunciato come Google abbia “alterato le regole della competizione”, distorcendo il mercato a proprio favore.
La vicenda si inserisce in un contesto più ampio di contenziosi: tra questi, la causa intentata da Gannett, primo gruppo editoriale statunitense, che nel 2022 aveva denunciato Google per pratiche anticoncorrenziali nel mercato pubblicitario digitale. Gannett lamentava aste truccate, compressione dei ricavi editoriali e danni irreparabili all’informazione locale.
Secondo l’editore di USA Today, Google controllava già nel 2022 oltre il 90% delle piattaforme di vendita pubblicitaria per gli editori e il 60% degli ad exchange, incamerando oltre 30 miliardi di dollari di ricavi dal solo settore editoriale.
Parallelamente, il Dipartimento di Giustizia e 17 Stati USA hanno avviato un’azione legale per chiederne la disarticolazione. In Europa, la Commissione UE ha accusato Google di violazioni antitrust, ipotizzando una sanzione pari al 10% del fatturato.
Doppia monopolizzazione
Nel merito, il giudice distrettuale della Virginia – inserendosi sulla scia delle determinazioni di altri magistrati USA nell’ambito del controllo della piattaforma sul web searching – ha stabilito che Google “ha deliberatamente acquisito e mantenuto un potere monopolistico” sia nel mercato del service tecnologico exchange (e gestendo gli ad server, i sistemi di intermediazione online utilizzati per l’acquisto degli spazi pubblicitari attraverso aste) che in quello tradizionale della collocazione degli spazi commerciali (vendita di inserzioni).
Distorto il mercato
Secondo il giudice Brinkema, il comportamento di Google “non solo ha escluso i concorrenti dalla competizione, ma ha anche danneggiato editori e consumatori, distorcendo il mercato e limitando le opportunità di crescita degli altri soggetti, incidendo quindi sul libero mercato”.
Porte aperte all’Antitrust USA
Ora la sentenza della Virginia amplia la strada ai procuratori antitrust per richiedere rimedi strutturali in un futuro processo, tra cui una possibile cessione forzata di Google Ad Manager.
Radio locali accerchiate da Google Ad
La sentenza della Corte distrettuale della Virginia giunge mentre la National Association of Broadcasters sta intensificando la sua campagna politica contro le Big Tech, sostenendo riforme normative per fronteggiare le disparità competitive affrontate dalle emittenti radiofoniche. In particolare quelle locali, maggiormente toccate dalla concorrenza di Google Ad.
Rimuovere i limiti di concentrazione dei gruppi radiofonici per renderli in grado di competere con gli OTT
La rappresentanza degli editori, nello specifico, esorta il regolatore indipendente delle comunicazioni statunitense (la Federal Communications Commission) a rimuovere i limiti antitrust sulla proprietà radiofonica che, secondo le emittenti, contraggono la crescita e la competitività delle emittenti locali contenendo l’espansione dei grandi gruppi.
NAB: Google ha alterato le regole della competizione
Il presidente e CEO della NAB, Curtis LeGeyt, ha commentato così la decisione del giudice della Virginia: “Google ha sfruttato la propria posizione dominante nel mercato della pubblicità online per penalizzare i content creator, alterando le regole del gioco. NAB elogia il Dipartimento di Giustizia per aver affrontato un caso così critico, quanto scarsamente considerato.
Ora decisori politici e regolatori considerino implicazioni di questa sentenza
Mentre i decisori politici e gli enti regolatori valutano le implicazioni di questa sentenza, li esortiamo a riconoscere che lo stesso predominio delle Big Tech, che danneggia gli editori digitali, sta anche compromettendo le entrate pubblicitarie su cui le emittenti locali fanno affidamento per servire le proprie comunità.
Azione rapida per livellare la competizione sul mercato pubblicitario
Siamo incoraggiati dal fatto che la FCC, sotto la guida del Presidente Carr, stia adottando misure per modernizzare le sue regole e ci attendiamo un’azione rapida che livelli il terreno della competizione”, ha enfatizzato LeGeyt.
Le azioni di sensibilizzazione
Nell’ambito di una ampia strategia di sensibilizzazione, NAB sta coinvolgendo i decisori politici ed il pubblico radiotelevisivo, attraverso una campagna multipiattaforma, che comprende un sito web dedicato e pubblicità a livello nazionale, per raccogliere sostegno per queste modifiche normative.
Quello della Virginia non è un precedente inedito
Ovviamente la sentenza del giudice della Virgnia non è una novità sul tema.
Nel 2023, oltre alle sanzioni già comminate dalle varie Authority europee, Google si era infatti trovato di fronte alle accuse mosse da una delle principali holding di mass media statunitense, nonché editore di USA Today, il più grande editore a stelle e strisce Gannett, che possiede anche 50 tv locali.
La causa di Gannett al tribunale federale
Il 20/06/2022 l’editore di USA Today insieme ad un centinaio di testate locali avevano intentato una causa innanzi al tribunale federale di New York contro Google, per il monopolio esercitato da quest’ultimo sui mercati della tecnologia pubblicitaria e per pratiche commerciali ingannevoli.
Ripristinare concorrenza leale
Pesanti erano state le accuse pubbliche mosse dall’a.d. e presidente di Gannett, Mike Reed, in un editoriale: “La nostra causa legale mira a ripristinare una concorrenza leale in un mercato della pubblicità digitale che Google ha distrutto”.
Querelle dal 2009
In particolare, spiegava l’a.d. del gruppo, “La nostra causa legale dettaglia più di una dozzina di azioni significativamente anticoncorrenziali e ingannevoli da parte di Google, che iniziano già nel 2009 e perdurano fino ai giorni nostri.”

Aste truccate
“Il nocciolo della questione e quindi la nostra posizione è che Google abusa del suo controllo sul monopolio dell’a.d. server per rendere sempre più difficile per i potenziali concorrenti condurre aste competitive. Inoltre, l’exchange di Google trucca le proprie aste in modo che gli inserzionisti di Google possano acquistare spazi pubblicitari a prezzi stracciati”.
Rischio della scomparsa delle news locali
Tutto ciò, secondo Reed, ha avuto ripercussioni gravi sull’andamento economico-finanziario dei gruppi editoriali a livello globale. “Le pratiche di Google hanno implicazioni reali che deprimono non solo i ricavi, ma costringono anche alla riduzione e alla scomparsa delle notizie locali in un momento in cui sono più necessarie. I dati rivelano un mismatch fondamentale nel mercato online”, aveva commentato il ceo di Gannet.
Nessun guadagno per gli editori
“I fornitori di contenuti, inclusi centinaia dei nostri giornali locali, creano un enorme valore, ma non conseguono alcun ritorno finanziario perché Google, come intermediario, ha monopolizzato i mercati di importanti software e prodotti tecnologici che gli editori e gli inserzionisti utilizzano per comprare e vendere spazi pubblicitari”.
I numeri
Con la transizione sul web, l’intero comparto editoriale dipende dai ricavi della pubblicità digitale per poter fornire ai propri lettori contenuti di qualità e all’avanguardia. Ma con Google (e la sua società madre, Alphabet) di mezzo, gli editori sono sempre più stretti in un angolo.
L’universo Google
Secondo l‘a.d. di Gannett, il colosso di Mountain View già nel 2022 controllava il 90% del mercato delle piattaforme di pubblicità che gli editori utilizzano per offrire spazi pubblicitari in vendita. Inoltre, Google gestiva al tempo oltre il 60% del mercato degli ad exchange (sorta di mercati digitali che gestiscono aste tra inserzionisti per le offerte di spazi pubblicitari sui siti degli editori).
Nel 2022 il 60% degli acquirenti Gannett arrivava da big G
In sostanza, Google, tre anni fa, governava già la fonte più grande di inserzionisti: Gannett dichiarava infatti che circa il 60% dei propri investitori arrivava proprio dall’azienda guidata da Sundar Pichai.
Dominio da 30 mld di dollari solo per il settore editoriale
E proprio grazie a questo dominio nel settore pubblicitario online, Google nel 2022 aveva guadagnato oltre 30 miliardi di dollari dalla vendita di spazi pubblicitari sui siti degli editori.
Autorità Antitrust e editori uniti contro il nemico comune
Ma anche quella di Gannett non era che l’ennesima causa intentata dagli editori nei confronti del colosso OTT online, che dopo il Covid si è trovato sempre più frequentemente a difendersi dalle accuse mosse anche dalle varie autorità Antitrust e dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti d’America.
La pubblicità digitale è la linfa vitale dell’economia online
Editori tutti consapevoli e uniti contro un fenomeno (globale) che sta erodendo una fonte importante di guadagno e sostentamento per un settore, come quello delle news, che non deve sopperire. Come lo stesso Reed ebbe a dichiarare: “La pubblicità digitale è la linfa vitale dell’economia online”.
Piovono denunce
Nel giugno 2023 in un articolo dedicato alla questione osservavamo come, alla luce delle innumerevoli cause intentate nei suoi confronti (di cui quella della Virginia è solo l’ultima giunta a conclusione), Google avrebbe dovuto elaborare una propria linea difensiva forte su più fronti. Anche il Dipartimento di Giustizia USA, unito a una coalizione di altri 17 stati, aveva infatti citato in giudizio l’OTT accusandolo di danneggiare la concorrenza con la sua posizione dominante nel mercato della pubblicità online e allo stesso modo chiedendone lo scioglimento.
Antitrust UE
Sul territorio europeo, la Commissione UE (che aveva avviato le indagini nel giugno 2021) aveva concluso accusando il colosso di aver violato le regole europee antitrust con il rischio per Google di dover pagare una multa pari al 10% del fatturato.
Spezzare la catena
Non solo. In quel frangente, l’autorità antitrust USA aveva iniziato a valutare la possibilità di spingere l’azienda californiana verso la vendita di parte delle proprie attività ad-tech, con l’intento di spezzare la catena su cui si è formato e si basa l’ecosistema di Google.
Crescita del fatturato…
Per avere un’idea del volume d’affari di Google, basta ricordare che Alphabet, nel terzo trimestre del 2024, ha registrato un fatturato di 88,3 miliardi di dollari, in crescita del 15% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un risultato che ha superato le previsioni degli analisti, che avevano stimato un volume di di 86,4 miliardi di dollari.
… e degli utili oltre le aspettative
Anche gli utili dell’azienda l’anno scorso hanno mostrato un incremento ancora più significativo, aumentando del 34% e raggiungendo i 26,3 miliardi di dollari.
Risultati che – come censurato dal giudice della Virginia – sono un riflesso della continua espansione delle principali piattaforme pubblicitarie dell’azienda, Google Search e YouTube, che si sono confermate come pilastri del modello di business di Alphabet.
Il contributo dell’intelligenza artificiale e l’innovazione continua
Secondo Sundar Pichai, il successo del trimestre era attribuibile anche ai recenti investimenti dell’azienda nell’intelligenza artificiale (AI). “Il nostro impegno per l’innovazione e gli investimenti a lungo termine nell’AI stanno dando frutti concreti,” aveva affermato il ceo di Alphabet, evidenziando come l’integrazione di strumenti basati su AI avesse apportato benefici tangibili ai consumatori e ai partner dell’azienda.
I.A. per aumentare il profitto
L’A.I., nelle parole del manager, sta contribuendo a migliorare l’efficienza interna e a potenziare i margini di profitto, riflettendo la capacità di Alphabet di rispondere rapidamente alle esigenze di mercato.
Investimenti crescenti in data center e infrastrutture
Non a caso, Alphabet ha rafforzato il proprio impegno negli investimenti infrastrutturali. Il direttore finanziario Anat Ashkenazi ha confermato che le spese in conto capitale (CapEx) per il 2025 saranno superiori rispetto a quelle del 2024, che nel terzo trimestre avevano registrato un aumento del 62%, arrivando a 13 miliardi di dollari. Investimenti sono destinati principalmente ai data center, ai chip e ad altre infrastrutture tecnologiche.
Risultati simili per il 4° trimestre 2024
Per il quarto trimestre 2024, Alphabet ha mantenuto livelli di spesa simili, in linea con la necessità di supportare la domanda crescente e l’espansione dell’intelligenza artificiale.
Ottimizzazione dei costi grazie all’intelligenza artificiale
Ashkenazi ha sottolineato come Alphabet intendesse proseguire con gli sforzi di riduzione dei costi, utilizzando l’A.I. per semplificare i flussi di lavoro e gestire con maggiore efficienza l’organico e le risorse aziendali.
Direzioni strategiche alternative
“Continuerò a esplorare opportunità per accelerare il lavoro o adottare direzioni strategiche alternative che possano liberare capitale”, aveva dichiarato ad ottobre 2024 Ashkenazi, sottolineando come l’A.I. potesse rappresentare un vantaggio competitivo per migliorare l’efficienza operativa. Una strategia che avrebbe permesso all’azienda di ottimizzare l’allocazione delle risorse verso settori ad alto potenziale di crescita.
La forza di Google Search e YouTube
A sostegno della propria decisione, il giudice del dipartimento della Virginia Leonie Brinkema ha richiamato il fatto che le principali piattaforme pubblicitarie di Alphabet continuano a generare risultati significativi, osservando come Google Search avesse raggiunto ricavi per 49,4 miliardi di dollari, con un incremento del 12% rispetto allo scorso anno, trainato dalla forte domanda di annunci nei settori assicurativo e retail.
Impulso pubblicitario legato alle elezioni
Una situazione aggravata (per il comparto radiofonico) dalle elezioni del 2024 negli USA, che hanno dato risultati pessimi per gruppi come iHeartMedia, che proprio in conseguenza del minor afflusso pubblicitario, ha realizzato perdite per 1 miliardo di dollari.
Drenaggio pubblicitario
Investimenti drenati da Google, che per voce di Philipp Schindler, Chief Business Officer di Alphabet, ha dichiarato un “impulso pubblicitario legato alle elezioni”, più evidente su YouTube, che ha registrato un incremento del 12% nelle vendite pubblicitarie, toccando gli 8,9 miliardi di dollari.
Google Cloud
Anche Google Cloud ha continuato la sua espansione, con un aumento del 35% nei ricavi, che hanno raggiunto i 11,4 miliardi di dollari.
Crescita per Google Cloud…
Per parte propria (altro elemento stigmatizzato dal giudice distrettuale della Virginia) Google Cloud si è affermato come uno dei settori più dinamici per Alphabet, registrando un risultato operativo record di 1,95 miliardi di dollari.
….ed opportunità nel settore
Il settore del cloud, come spiegato da Ashkenazi, è in continua espansione e rappresenta una componente strategica per l’azienda, non solo per il segmento aziendale ma anche per il potenziamento dell’intelligenza artificiale.
Other Bets
Inoltre, Other Bets, la divisione che include progetti come Verily e Waymo, ha riportato un fatturato di 388 milioni di dollari, con un incremento rispetto ai 297 milioni dell’anno precedente, sostenuta dal crescente interesse per il servizio di robotaxi di Waymo.
Il successo di Google Lens…
Google Lens, il servizio di riconoscimento delle immagini di Alphabet, ha raggiunto oltre 20 miliardi di ricerche visive al mese, confermandosi uno dei prodotti di A.I. in più rapida crescita.
…e le ricadute dell’Intelligenza Artificiale
Pichai ha sottolineato come Google Lens sia particolarmente popolare tra gli utenti per le ricerche legate allo shopping, dimostrando come l’intelligenza artificiale possa migliorare l’esperienza dell’utente finale e offrire nuove opportunità di interazione.
A.I. essenziale per aumento valore piattaforme e fidelizzazione utente
L’A.I. diventa quindi uno strumento essenziale anche per aumentare il valore delle piattaforme di ricerca e per stimolare la fedeltà dei consumatori.
Le sfide legali per Alphabet negli Stati Uniti
Nonostante i successi finanziari, Alphabet si trova appunto a dover affrontare una serie di sfide legali. Oltre alla decisione della scorsa settimana della Virginia, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha avviato due cause contro l’azienda, accusandola di monopolio nel settore degli annunci online e della ricerca.
La sentenza sulle politiche anticoncorrenziali di Google
Oltre all’aspetto pubblicitario, una sentenza del 2023 ha dichiarato Google responsabile di posizione di monopolio illegale anche nel web search, in esito alla quale potrebbero essere adottati provvedimenti che includono la cessione di alcune divisioni, come il browser Chrome o il sistema operativo Android, in una versione 4.0 dello Sherman Act del 1890, che portò allo smembramento della holding Standard Oil in trentaquattro distinte società, ciascuna con una propria direzione (tra le più importanti Exxon, Mobil, Chevron, Sohio, Amoco, Conoco, ARCO e Sun).
Difesa vigorosa
Per parte propria, Alphabet ha annunciato l’intenzione di difendersi “vigorosamente” contro queste accuse, ritenendo che alcuni dei rimedi proposti possano avere “conseguenze non previste” per l’intero settore tecnologico statunitense.
Concorrenza da Amazon e TikTok: nuove dinamiche di mercato…
A difesa della propria posizione, Google ha opposto come la quota detenuta nel mercato della pubblicità sui motori di ricerca potrebbe scendere sotto il 50% nel 2025, principalmente a causa della crescente concorrenza di Amazon e TikTok.
Evoluzione dopo la decisione della Corte della Virginia
Vedremo ora l’evoluzione della questione dopo il pronunciamento della Corte distrettuale della Virginia. (E.G. per NL)