Due mld di euro per l’editoria, uno e mezzo per la televisione: questo è il triste bilancio delle perdite di ricavi registrate nell’ultimo quinquennio dai due settori dei media italiani.
Giornali e periodici sono stati inesorabilmente investiti dalla crisi di cui hanno pagato il prezzo maggiore soprattutto in termini di margini. I dati derivano da analisi dei bilanci 2010-2014 di Agcom e indicano chiaramente come i ricavi televisivi siano diminuiti del 15,7% (con un -4,3% nel solo 2013-2014), passando dai 9,55 mld del 2010 agli 8 mld del 2015, mentre la pubblicità, da sola, ci ha rimesso 1 mld tondo tondo (ma nel periodo si riscontra anche una contrazione della pay tv). L’editoria, invece, ha subito un calo di ricavi che passano dai 6,8 mld del 2010 ai 4,8 mld dello scorso anno, con un riduzione percentuale del 29,8%. Sicuramente un netto peggioramento per entrambi i settori mediatici, che hanno raggiunto il picco di recesso nel 2012, con un lento miglioramento registrato dal 2013 in poi, soprattutto grazie a tutte le società che si sono operate attivamente per ridurre i costi. Per la televisione, nel 2015 il rapporto margine operativo lordo/ricavi era al 23%, ma nel 2010 era al 29%, toccando il minimo nel 2012 con un 22,4%. Per l’editoria lo stesso rapporto nel 2014 era dell’8%, cinque anni prima dell’11% con una brutta contrazione registrata nel 2013, 1,5%. La recessione si nota però soprattutto con il rapporto margine operativo netto/ricavi: per la tv l’anno scorso c’è stato un incoraggiante pareggio (0,1%) dopo le perdite del 2012 (-6,7%) e quell’inaspettato segno più registrato nel 2013 (+2,4%) che per un attimo ha lasciato il sapore incoraggiante, ma al contempo illusorio, del superamento della crisi. C’è da dire che, nel 2010, questo stesso rapporto era del 6,4%. Ancor più spinosa la situazione per l’editoria: ebit/ricavi al 5,2% nel 2010, nel 2011 l’azzeramento degli utili operativi. Nel 2012 perdite che hanno portato a un -12,2%, -10,2% nel 2013 e infine un leggero segno positivo, con un +1,1% nel 2014. Considerando che i ricavi non sono aumentati, il merito si può rinvenire in un controllo dei costi. Il rovescio della medaglia, però, è la riduzione del numero di dipendenti: mentre nel settore televisivo si registra una variazione netta di un migliaio di posti, che passano dai 21,8 mila nel 2010 ai 20,8 mila nel 2014, nell’editoria quotidiana e periodica gli addetti lasciati a casa sono stati più di 4 mila, essendo diminuiti dai 19,3 mila di cinque anni prima ai 15,24 mila dello scorso anno (-20%). L’analisi sulla patrimonializzazione, infine, si mantiene stabile a dispetto della crisi: per la televisione il patrimonio netto rappresenta i due terzi delle passività complessive, segnale di un minor ricorso ai mezzi di terzi per lo svolgimento della propria attività. Questo rapporto è diminuito dal 69,4% nel 2010 al 66% nel 2014 con il punto più basso registrato nel 2012, 66,8%. Per l’editoria, invece, il patrimonio netto è circa un terzo delle passività complessive ed è passato da un 36,4 a un 34,6% nel 2015. (S.F per NL)