La tecnologia, di per sé, difficilmente costituisce uno strumento capace di creare valore aggiunto: le aziende generano ricchezza quando riescono a combinare le risorse tecnologiche con nuovi modelli per creare business. Partendo da questo assioma, di certo non nuovo ma attuale, i ricercatori di McKinsey hanno fotografato il ruolo dell’hi-tech negli anni a venire come propulsore per lo sviluppo dell’economia. Costoro hanno individuato otto diversi trend e li hanno raggruppati in tre distinte aree di attività: gestione delle relazioni, gestione degli asset (e dei capitali) e nuove leve di gestione delle informazioni. Di seguito ne riportiamo i principali. La prima direttrice su cui puntare all’interno di ogni singola organizzazione – questo il punto numero uno del vademecum di McKinsey – è l’utilizzo evoluto delle tecnologie Internet per raccogliere le dinamiche innovative presenti al di fuori dei confini aziendali. I nuovi prodotti, nella consumer electronics come nell’industria automobilistica, vanno sempre valutati come il frutto delle indicazioni di un’ampia fascia di soggetti (clienti/utenti, fornitori, consulenti, uomini di business, figure tecniche), ma, a differenza del recente passato, si deve guardare a un modello di “co-creation”, di distribuzione all’esterno (verso la rete dei partner dell’azienda) dei processi di innovazione. Come? Sfruttando le risorse disponibili nella catena del valore e delegando ad essa parte del controllo delle attività operative, riducendo i costi ed eliminando i colli di bottiglia di una gestione del tutto centralizzata. Gli esempi cui riferirsi per l’outsourcing dell’innovazione, dice McKinsey, sono vari e se il software open source (Linux) e i contenuti editoriali sono quelli più calzanti, anche l’industria manifatturiera ne è assolutamente interessata. La cinese Loncin, uno dei più grandi produttori di motociclette del Paese asiatico, che lascia ai propri fornitori il compito di disegnare in modo congiunto i componenti (tramite un sistema Cad condiviso in Rete) una volta definite le specifiche di base, ne è una conferma. E se questo nuovo approccio all’innovazione di prodotto “distribuita” verrà accettato in modo esteso (gli analisti stimano che circa il 12% delle attività di progettazione delle compagnie americane potrebbe essere presto interessato dal fenomeno) l’impatto sull’economia globale sarà decisivo. Altro punto fermo è quello della “consumerization”, con l’uso sempre più generalizzato delle abitudini e dispositivi consumer nel mondo aziendale; un modello di sviluppo teorizzato da Gartner e che nella visione di McKinsey si manifesta attraverso la co-creazione di prodotti e servizi tramite l’utilizzo dei consumatori come veri e propri innovatori. L’enciclopedia on line Wikipedia è soltanto l’esempio più noto di come Internet, e il Web 2.0 in particolare, stiano modificando la natura delle interazioni personali e professionali e l’estesa piattaforma di strumenti di comunicazione e di collaborazione ad esso associato (instant messaging, video e via dicendo) può diventare una risorsa economica importante per le aziende. Il negozio on line di capi di abbigliamento Threadless, che chiede periodicamente ai propri consumatori iscritti alla Web community suggerimenti per il design delle nuove T-shirt, è un esempio lampante di come il business virtuale possa creare valore anche nel mondo reale, concretizzatosi nel caso specifico con l’apertura del primo negozio a Chicago, lo scorso settembre. Coinvolgere i clienti nello sviluppo, il testing, la promozione ed i processi di post vendita dei propri prodotti/servizi è in sostanza la nuova strategia per diventare “time to market” e soddisfare la reale domanda degli utenti. Abbattendo i costi e sviluppando nel contempo maggiore fiducia nei consumatori. Il terzo anello della catena dell’innovazione “distribuita” è infine rappresentato da coloro, liberi professionisti della finanza come piccole e specializzate software house che mettono a disposizione delle aziende, e da qualunque parte del mondo, il loro “valore”. Capire e valorizzare il capitale umano disponibile internamente e sviluppare competenze per ingaggiare talenti e per tessere relazioni con “innovation service provider” su scala globale diventerà una delle priorità per le multinazionali così come per piccole e medie imprese. Va rilevato inoltre che il vantaggio competitivo si sposterà verso quelle compagnie che meglio sapranno fare propria l’arte di scomporre e aggregare risorse interne ed esterne. Il processo di trasformazione delle attività lavorative nelle economie altamente sviluppate è del resto già in corso e lo prova il fatto che già oggi il 40% degli addetti impiegati nelle aziende Usa sono impegnati in attività di interazione, cioè lavori che riguardano la gestione di relazioni, attività di collaborazione e conoscenza. Con il Web 2.0 e i “tool” di social networking a giocare un ruolo decisivo in questo processo di evoluzione. Automatizzare risorse e processi è stato il must degli anni ’90 e dei primi anni 2000. Oggi i sistemi Erp (Enterprise resource planning) e di Crm (Customer relationship management), i grandi database, le tecnologie di supply chain e i siti Web sono fra loro interconnessi per lo scambio dei dati e costituiscono di fatto i processi di business sottoforma di bit e byte. Domani tutte le informazioni in essi custodite dovranno essere combinate in modi evoluti, così da migliorare l’efficienza aziendale a tutti i livelli. Colossi come FedEX e Ups consentono da anni di controllare lo stato delle consegne direttamente via Internet con il risultato di aver ridotto sensibilmente i costi del servizio e aumentato la soddisfazione e la fidelizzazione dei propri clienti. Carrefour, Metro, Wal-Mart e varie altre grandi catene retail hanno già adottato tecnologie digitali per il riconoscimento dei prodotti, ottenendo significativi risultati sotto il profilo dell’automazione delle rispettive filiere di fornitura e dei processi di inventario. In futuro, questo è quanto auspica McKinsey, le aziende dovranno intervenire su procedure e attività ripetitive ancora oggi non gestite via computer e collegare in rete fra loro “isole operative” per generare un valore aggiunto per l’azienda e per gli utenti/consumatori. Le tecnologie Ict, inoltre, aiuteranno le imprese a utilizzare i propri asset fissi in modo più efficiente, disaggregando i sistemi monolitici del passato in componenti altamente misurabili sotto il profilo dei costi. Nuovi modelli di gestione dovranno quindi essere adottati su larga scala sulla scorta di esperienze di successo come Amazon.com, che ha esteso il proprio “business model” abilitando altri retailer all’uso dei suoi servizi di logistica e distribuzione. I cosiddetti Mvno (Mobile virtual-network operator), destinati a recitare un ruolo da protagonisti nel mercato dei servizi wireless pur non essendo dotati di infrastruttura di rete propria, sono un’altra faccia della stessa medaglia. Il concetto di base è quello di liberalizzare l’accesso ai propri sistemi It ad altri attori esterni l’azienda, utilizzando Web services e protocolli aperti per automatizzare le attività di fornitori, clienti e degli altri componenti dell’ecosistema aziendale. Tutti interagenti in un sistema che unisce sia elementi fisici che risorse e asset virtuali all’insegna della massima economia di scala.(Paolo Masneri per NL)