Nel mondo islamico si è concluso appena tre giorni fa il mese del Ramadan, durante il quale la sharia, la legge islamica, vieta di consumare pasti e di bere, dall’alba al tramonto. Il giorno di chiusura di questo periodo di “penitenza” viene festeggiato in tutte le comunità musulmane con riunioni, banchetti e, ovviamente, mangiate colossali.
In Marocco, paese che lentamente si avvia verso un’apertura nei confronti delle ortodossie religiose, il Ramadan resta comunque un momento d’aggregazione sociale e religiosa molto sentito. Un anno fa, su un magazine italiano, era stato pubblicato un reportage riguardo il giro d’affari e gli interessi che si celano dietro a questa pratica atavica. Le famiglie riunite a gozzovigliare dopo il tramonto, attorno al tavolo e con la tv accesa, rappresentano il target perfetto (abbracciando ogni tipo di target) per le aziende che investono in spot televisivi. Il cui costo gravita sino a raggiungere prezzi dieci volte superiori a quelli standard. Ecco un modo scaltro per unire sacro e profano, pratica religiosa a business puro. Il Ramadan in Marocco, quindi, è imposto per legge. Precisamente l’articolo 222 del codice penale marocchino punisce con un periodo di reclusione da uno a sei mesi chiunque consumi pasti durante il giorno. Se è vero, comunque, che violazione di tale articolo vengono vieppiù tollerate, è anche vero che ostentare in pubblico il proprio dissenso e mangiarsi un panino è un atto assolutamente deprecabile e rischioso. Si rischia d’essere arrestati per davvero, come è successo a un gruppo d’attivisti del MALI, il Movimento Alternativo per il rispetto delle libertà individuali, che si batte per la difesa di “tutte le libertà. Tutte, persino quelle che scandalizzano come la difesa degli omosessuali e la libertà di culto”, dice Zineb El-Rhazoui, una delle attiviste e centro catalizzatore di un evento di protesta civile, interamente organizzato sul social network Facebook. Facebook, come in tutto il mondo accade, con ogni tipo d’evento (da quelli di natura sociale al divertimento notturno, dalle manifestazioni pacifiste a quelle xenofobe), ha funto da centro di convergenza, ha creato la massa critica perché l’evento fosse conosciuto, affinchè se ne parlasse, affinchè potesse partecipare chiunque fosse interessato a farlo, anche al di fuori dei circoli del passaparola. Fatto sta che lo scorso 13 settembre un gruppo di ragazzi, panino in mano, si è recato a Mohammedia (tra Rabat e Casablanca) per partecipare ad un simbolico pic-nic, una scampagnata dal risvolto sociale, per mostrare come si possa essere marocchini anche non sottostando ai dettami restrittivi di una legge religiosa che vieta di nutrirsi, di mangiare e di bere, durante il giorno. Ritrovatisi alla stazione di Mohammedia, i partecipanti non hanno fatto in tempo a recarsi nella piazza prestabilita per il rituale perchè, circondati ed interrogati dalla polizia, sono stati costretti a ripartire, nel migliore dei casi. Chi ha tentato d’opporre resistenza è stato arrestato. “La nostra intenzione è mostrare che siamo marocchini, anche se non digiuniamo, e che abbiamo diritto a esistere”, ha detto Zineb, che ha avuto la fortuna di non essere stata arrestata, come sei suoi compagni. Uno di essi, Radi Omar, attivista nel campo delle libertà individuali, sostiene d’aver ricevuto circa cento minacce di morte nell’ultima settimana. I media marocchini hanno preso a parlare dell’evento, ovviamente stigmatizzandolo, disapprovandolo, con l’appoggio della classe politica, che l’ha condannato in toto. In difesa degli arrestati è intervenuta solo l’Associazione marocchina per i diritti dell’uomo. Fuori dal territorio marocchino l’evento non ha avuto molta risonanza, se non in rete e in qualche rilancio d’agenzia. Forse non sembra abbastanza paradossale come nel 2009 si possa ancora finire in carcere per un panino. (Giuseppe Colucci per NL)