Lo scorso ottobre 2008 nelle isole Maldive si sono tenute le prime elezioni libere e pluripartitiche della loro storia. Un evento storico, che ha trascinato alla urne percentuali altissime di cittadini maldiviani e che, dopo trent’anni di governo Maumoon Abdul Gayoom, ha visto un avvicendamento storico alla carica di presidente. Al secondo turno, infatti, Mohamed Nasheed, giornalista e scrittore, colui che secondo Amnesty International è stato uno dei primi prigionieri di coscienza. Dopo decenni di partito unico, però, Nasheed probabilmente s’è fatto prendere un po’ la mano dal pluralismo e ha concesso un posto nella propria grande coalizione di governo ad un gran numero di partiti, incluso il partito Adhaalath, conservatore e filo islamico, cui è andato il ministero degli Affari Islamici.
Agli inizi di questo mese il nuovo presidente Nasheed, apologeta della democrazia maldiviana, ha incontrato Frank le Rue, referente delle Nazioni Unite per la libertà d’espressione, promettendogli che l’arcipelago sarebbe diventato uno strenuo sostenitore di tali diritti, che i tempi della dittatura che li metteva al bando erano finiti e che le Maldive sarebbero divenute un paradiso per scrittori e giornalisti dissidenti di paesi come la Birmania. Quanti buoni propositi. La realtà, però, come spesso accade, cozza con le buone intenzioni. Forse Nasheed s’è fatto prendere un po’ troppo la mano dal pluripartitismo, forse ha concesso troppo spazio al partito Adhaalath ed alla sua strenua difesa dell’Islam. Fatto sta che poche settimane dopo l’annuncio, il governo ha dato ordine ai due Internet Service Provider del Paese di mettere al bando alcuni siti e blog. Di tale operazione si sarebbe occupato in prima linea proprio il ministero per gli Affari Islamici. Tra i portali censurati, di fatti, oltre ad un buon numero di siti web pornografici o pedopornografici, presenzierebbero anche due siti di matrice religiosa: uno di divulgazione del Cristianesimo ed uno di critica al mondo islamico. Nonostante la matrice laica del governo, quindi, il pluripartitismo e la grande coalizione hanno dato spazio, forse eccessivo, a fazioni conservatrici che cercano a tutti i costi di “salvaguardare” i precetti dell’Islam. Ecco come Thadu, uno dei blog più attivi dell’arcipelago, commenta la vicenda: “Ai maldiviani sembra che il Ministero Islamico stia cercando di convertire internet in una intranet. E ciò va contro i tentativi e il duro lavoro delle tante persone che hanno cercato e stanno cercando di fare delle Maldive un autentico Paese democratico. Sono 12 i Paesi indicati da Reporters Without Borders come nemici di internet. Se il Ministero Islamico continua a proteggere le persone in modo barbarico, anche le Maldive finiranno su quella lista, vanificando il lavoro di parecchia gente”. Tra i siti censurati, oltre a quelli di matrice religiosa e pornografica, c’era anche Random Reflexions, blog che affronta una vasta gamma di tematiche, anche “scomode”. Successivamente, però, il blocco è stato rimosso in virtù di un “compromesso”: “Ho promesso di dare un’occhiata ai miei post e rivedere vecchi testi che potevano trasgredire questa clausola – spiega il blogger Simon – Così li ho rivisti e apportato le necessarie modifiche. Se l’Authority per le Comunicazioni o il Ministero degli Affari Islamici dovessero ancora trovare qualcosa che ritengano trasgredisca la legge, potranno sempre contattarmi direttamente. Se tuttavia dovessero bloccare di nuovo questo blog mi rivolgerò al Tribunale”. Simon, però, rilancia con una provocazione: “Ho ammesso a Mr. Naish che qualche mio intervento possa trasgredire questa riserva della costituzione. Ma anche questa è discutibile. Quelli che per alcuni sono i principi dell’Islam possono non esserlo per altri. La cosa si presta all’interpretazione. Potrei, per esempio, sostenere che la vendita di alcool nelle Maldive sia contraria ai principi dell’Islam. Come la mettiamo?”. (G.M. per NL)