Chi pensava che le graduatorie dei fornitori di servizi di media audiovisivi utilmente collocati nelle varie aree tecniche rappresentassero una fotografia attendibile del quadro televisivo futuro, deve ricredersi. Al nord, dove è terminata anche la procedura di attribuzione LCN (che definisce la fase di refarming sulla carta, dopo la sottoscrizione dei contratti per la banda trasmissiva), sono già diversi gli avvicendamenti. Con un rilevante processo di trading di titoli FSMA in corso, a tutti i livelli. Al sud, invece, dove è attesa a breve la pubblicazione delle graduatorie LCN, potrebbero esserci molte rinunce alle prenotazioni di capacità trasmissiva avvenuta in seduta pubblica sia sui mux di primo, che di secondo livello.
Perché accade?
Presumibilmente per due motivi: decisioni avventate in sede di seduta pubblica, che, a un esame più razionale, hanno mostrato l’insostenibilità economico-finanziaria degli impegni; oppure mancata definizione di quei preaccordi di successione nella titolarità di cui parlavamo a proposito del nord Italia.
La banda costa
Il punto è che, soprattutto al sud, il costo di veicolazione sulle reti di 1° (ma anche di 2°) livello raramente non costituisce un problema per fornitori di servizi di media audiovisivi con finanze sempre più limitate e flussi dai rubinetti delle contribuzioni pubbliche, su cui a lungo hanno (troppo) confidato, che si stanno asciugando.
Come se ne esce?
Non certamente pretendendo, come ha fatto il presidente della Regione Marche, di scaricare il problema sui network provider, nell’improbabile tentativo di ottenere una forma di calmierazione di canoni noti da molti mesi. Casomai, a livello politico, si sarebbe dovuto intervenire a suo tempo, impedendo la previsione del limite inferiore di capacità trasmissiva di 1,5 Mbit/s e non elevando a 3 Mbit/s quello superiore. Ma, soprattutto, imponendo il passaggio definitivo in T2/HEVC, che, come aveva stimato Agcom, avrebbe consentito un passaggio meno sacrificato (per numero di FSMA e costi per la banda).
2 soluzioni
Ora ci sono solo due soluzioni, entrambe basate su un approccio tecnologico.
N.1
La prima: imporre il passaggio a T2/HEVC dal gennaio 2023, così liberando una notevole quota di capacità trasmissiva (considerato che 1 Mbit/s in HEVC sarebbe più che sufficiente per un contenuto SD). La quale potrà essere destinata agli esclusi o ai nuovi entranti.
N.2
La seconda: sfruttare le opportunità combinate di HBBTV (hybrid broadcast broadband tv), sviluppo della banda larga e LCN disponibili.
Barricate
La way out n. 1, tuttavia, certamente incontrerebbe, più che resistenze, l’elevazione di vere e proprie barricate da parte dei superplayer che ritengono il parco televisori HEVC non ancora sufficiente ad una migrazione verso tale formato. Opposizione, peraltro, non del tutto peregrina, almeno per un altro anno e mezzo.
Way out concreta
La seconda via di fuga potrebbe, invece, essere più immediata. Vediamo come.
Sella ferisce, sella guarisce
E’ appurato che (1) dopo la conclusione delle sedute pubbliche è certamente possibile richiedere nuovi titoli FSMA con relativi LCN e (2) che la fase di negoziazione assistita dal Mise per l’acquisizione di capacità trasmissiva è terminata ed eventuali nuovi accordi conseguono a normali trattative tra le parti. Che, per esempio, possono anche rinegoziare la capacità di banda consentendone il recupero a favori di terzi.
Connected tv
Assodato, inoltre, che, entro la fine del 2022, saranno 18 milioni i televisori smart effettivamente connessi (e oltre il doppio quelli connettibili), spinti dal refarming stesso che impone l’acquisto di nuovi tv (che sono praticamente tutti connected), con una crescita costante indotta anche dalla costante diffusione delle connessioni casalinghe ad alta velocità (per esigenze di smart working, DAD e di accesso ai servizi digitali della P.A.), la HBBTV non è certo più un modello di nicchia (considerato che quasi tutti i nuovi tv ne sono dotati).
User friendly
Il problema, semmai, è la semplicità d’utilizzo, considerato che non tutti gli utenti sono favorevoli a navigare nei menù attraverso i mouse dei telecomandi. In questo senso una soluzione decisamente interessante è quella costituita dal jump monocanale.
Jump!
Ne abbiamo parlato spesso su queste pagine: si tratta di un canale a bassissima qualità (e quindi ad occupazione di banda estremamente ridotta, anche di solo 0,1 MBit/s, coi costi conseguenti) identificato da un LCN ed associato ad una piattaforma HBBTV che rilancia, senza necessità di interazione da parte dell’utente (quindi senza necessità di pigiare il tasto rosso, per capirci), su IP dopo pochi secondi di latenza.
Procedura
Un esempio soccorrerà: l’utente dotato di una smart tv effettivamente connessa, sintonizzando, per esempio, il canale 617, non dovrà accedere attraverso il tasto rosso ad un menù dal quale scegliere, attraverso il mouse, il sottocanale preferito, ma vi sarà direttamente indirizzato, senza che il telespettatore abbia compreso il passaggio dall’etere a internet. Il fornitore di servizi di media audiovisivi sfrutterà quindi i vantaggi del DTT (facile identificazione del canale da parte dell’utente attraverso la formula one click) senza subirne i costi eccessivi per la banda (utilizzando solo il minimo indispensabile per sfruttare la tecnologia HBBTV).
Aggiornamento normativo
Il passo successivo, che però presuppone un intervento di aggiornamento legislativo o regolamentare, sarà quello di azzerare o quasi il consumo di banda attraverso la rimozione anche del segnale via etere di bassa qualità, che lascerà spazio ad un LCN associato ad uno schermo nero (quindi con assenza di capacità trasmissiva al di là di quella dell’applicazione HBBTV) che, come nel caso precedente, rimanderà in automatico ad un contenuto IP sui tv effettivamente connessi (quelli non connessi continueranno a vedere solo uno schermo nero).
Il futuro del DTT
Quest’ultima soluzione sarà – vedrete – il futuro del DTT: un gate semplificato per la IP Tv.