Nel mondo delle transazioni commerciali di alto livello in generale, appare sempre più necessario affilare le armi nel momento in cui ci si trovi di fronte a modificazioni degli asset aziendali dovuti ad operazioni di acquisizione di aziende o di nuovi comparti produttivi.
E’ opinione comune dei più autorevoli advisor, laddove ci si trovi di fronte ad una prospettiva del genere, compiere una serie di valutazioni in merito agli scenari strategici da ciò scaturenti. In proposito, la c.d. "due diligence" costituisce un fondamentale ed imprescindibile “processo investigativo che viene messo in atto per analizzare valore e condizioni di un’azienda, o di un ramo di essa, per la quale vi siano intenzioni di acquisizione o investimento” (cfr. www.wikipedia.it). Articolando questa complessa analisi, si giunge alla predisposizione di un report finalizzato a mettere in luce pregi e difetti (o, meglio, prospettive di successo o di fallimento) della futuribile operazione economica. I giuristi d’affari che nell’ambito del mercato delle professioni fanno di questo strumento la loro principale attività, sono soliti suddividere questo raffinato processo in molteplici diramazioni riguardo alle aree di approfondimento sulle quali appuntano l’attenzione del cliente investitore. Se, dunque, la due diligence è la pietra di paragone delle operazioni di merger and acquisition (in italiano fusione ed acquisizione, solitamente abbreviato con l’acronimo M&a), questa – come detto – deve necessariamente scomporsi in valutazioni multisettoriali, che coinvolgano le diverse aree di interesse fiscale, tecnico, ambientale, immobiliare – e chi più ne ha più ne metta – sulla base delle informazioni (anche riservate) che devono essere messe a disposizione del management coinvolto nell’operazione. Tutti questi indicatori, confluiranno poi nella c.d. data room, cioè il luogo nel quale i soggetti coinvolti nel processo di M&a (e solo loro) possono prenderne visione per stendere la valutazione imprenditoriale. Oggi, con l’avvento della più sofisticata tecnologia informatica, tutti questi dati confluiscono in una virtuale stanza dei bottoni, in pratica una pagina web non in evidenza pubblica alla quale i soggetti ed i professionisti all’uopo accreditati accedono utilizzando apposite credenziali. Gli addetti ai lavori, celebrano l’avvento della virtual data room come una vera e propria rivoluzione copernicana nel campo della due diligence, grazie alla quale, recentemente, è stato possibile analizzare compiutamente fusioni ed acquisizioni societarie multigiurisdizione con un semplice click inoltrato dalle dorate poltrone dello studio d’affari. Insomma, un vero e proprio collettore d’informazioni, causa e motore della più avveduta finanza mondiale. In proposito, il sistema delle relazioni economiche, conosce due tipologie di investigazioni, una preventiva (pre acquisition due diligence) ed una successiva all’acquisizione o alla fusione (post acquisition due diligence) ed è facile intuire quanto la prima rivesta, da un punto di vista strettamente strategico, una maggiore importanza. In proposito, i partners dei più importanti studi professionali impegnati in questo campo, sono concordi nel sottolineare quanto il fallimento di rilevanti operazioni finanziarie si sia in passato legato proprio alla mancanza o alle carenze dell’analisi preliminare tesa a far emergere lo stato di salute di un’azienda anche sulla base degli elementi deducibili dall’analisi del processo produttivo interno (due diligence c.d. ambientale) e delle relazioni sindacali, con particolare attenzione ai profili prettamente giuslavorisici inerenti le politiche retributive e le problematiche del personale. Concludendo questo breve excursus sulle principali innovazioni adottate dai sovrani della finanza mondiale, cionondimeno – con gli opportuni aggiustamenti – utilizzabili anche per mercati e soggetti meno rilevanti per volume d’affari, lo scopo della due diligence, “(…) non deve essere unicamente quello di validare la transazione guardando alle prestazioni passate dell’azienda target, ma quello di guardare avanti e misurare l’azienda in base alla visione strategica che si desidera ottenere” (cfr. Italia Oggi 7, 30/08/2010, Avvocati Oggi, p. IV). Tutto ciò può essere teoricamente tradotto in quel processo teso ad “agevolare l’assunzione di decisioni informate circa un’opportunità d’acquisizione o cessione d’imprese, un’alleanza, un accordo o il collocamento di titoli su mercati regolamentati, minimizzando le probabilità d’errore e massimizzando il probabile ritorno della transazione” (cfr. Italia Oggi, cit.). Insomma, parrebbe che oggi come oggi il fiuto imprenditoriale, a certi livelli, da solo non possa più fare da padrone sulla scena della finanza. (S.C. per NL)