L’Osservatorio sui Balcani incontra Pescanik, la trasmissione radio serba più scomoda da Milosevic ai giorni nostri

Tante cose sono cambiate in Serbia e nei Balcani, dalla fine della guerra. Ma tante sono rimaste esattamente uguali a se stesse: hanno indossato un abito diverso, hanno smesso di far notizia; ma sono rimaste fondamentalmente identiche.

L’Osservatorio sui Balcani, progetto promosso dalla Fondazione Opera Campana dei Caduti e dal Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani, con il supporto dell’Assessorato alla solidarietà internazionale della Provincia autonoma di Trento e del Comune di Rovereto, è un laboratorio culturale che focalizza la propria attenzione proprio sull’evoluzione, dagli anni novanta ad oggi, della regione che divide l’Europa dell’Est da quella dell’Ovest, la regione lungo la quale un tempo passava la famosa cortina di ferro ma che, con il generale Tito, aveva deciso, pur comunista, di non schierarsi, emancipandosi dall’Unione Sovietica. Poche settimane fa, Cecilia Ferrara aveva intervistato, proprio per l’Osservatorio, la giornalista serba Svetlana Lukic, responsabile, assieme alla collega Svetlana Vukovic, della trasmissione radiofonica Pescanik, la Clessidra, ritenuta una delle più scomode ed anticonformiste del panorama balcanico. Pescanik nasce da una ONG, che porta lo stesso nome, fondata dalle due giornaliste. Da nove anni esse conducono anche l’omonima trasmissione radio, senza compensi ma in forma volontaria, raggiungendo circa 350 – 400.000 ascoltatori serbi, ogni venerdì. I temi trattati sono quelli della politica, della giustizia, dei crimini di guerra, dei lasciti che questa ha imposto alla Serbia di oggi. Il programma, inoltre, ha un sito web e le interviste in esso trasmesse sono raccolte in un periodico trimestrale edito dalle due giornaliste, venduto a prezzo di costo per pubblicizzare il programma. Svetlana Lukic, che lo conduce (la Vukovic lo introduce con piccanti editoriali che mandano su tutte le furie gli uomini di governo), porta avanti le sue battaglie sin dalle prime avvisaglie della guerra che, con la caduta del comunismo, avrebbe gettato nella disperazione l’ex Jugoslavia di Tito per quasi un decennio. Nell’89 era a Radio Beograd, seguì i conflitti in Serbia e Croazia, nel 1992 fu espulsa come “nemica del popolo” e passò nella libera (una delle poche ai tempi di Milosevic) B92, dove, con l’ausilio della collega Vukovic aveva fatto partire il progetto di Pescanik. “Peščanik è nato nell’ambito della campagna elettorale anti-Milošević – ha detto la Lukic all’Osservatorio sui Balcani – Da una parte c’era Otpor, il movimento studentesco, dall’altra c’era una campagna dei media all’interno della quale si inseriva il programma radiofonico che andava in onda su B92 e su altre radio in tutta la Serbia. dopo la caduta di Milošević ci siamo iniziate ad occupare di temi che riguardavano più la transizione, la giustizia, le privatizzazioni, con l’idea di vivere ormai in un Paese democratico. Nel 2003 però fu ucciso il primo ministro Zoran Ðinđić e improvvisamente gli anni Novanta tornarono attuali. Fu chiaro che c’era una continuità tra il regime e il post-regime in particolare nella relazione tra il governo ed i criminali di guerra. Qualcuno definì l’omicidio di Ðinđić l’ultimo crimine di guerra. In quel momento capimmo che il nostro lavoro non era finito”. Ed infatti, oggi, a dispetto della fine delle ostilità e dell’avvio verso una democrazia modello europeo, le eredità del periodo bellico continuano a pesare come macigni nella vita politica serba. “Per noi era molto più facile negli anni Novanta perché era tutto molto più chiaro – dice ancora – Da una parte c’erano quelli contro Milošević, ci conoscevamo eravamo una piccola comunità, dall’altra c’erano Milošević e il suo popolo. Allora avevamo molto più appoggio anche a livello internazionale, ora i problemi sono spesso gli stessi ma si fa finta che vada tutto bene. La comunità internazionale pensa che Tadić sia il massimo che noi serbi possiamo avere e allora va bene anche per l’Europa”. Oggi Pescanik si occupa del governo Tadic, lo attacca senza paura e lo critica anche pesantemente. Attacca anche la Chiesa, che la stessa giornalista definisce “responsabile in alcuni casi di crimini di guerra”. Ma le politica glielo lascia fare tranquillamente? Non proprio. A gennaio di quest’anno la trasmissione ed il sito sono stati oscurati e la macchina della Lukic è stata misteriosamente data alle fiamme. Un avvertimento? Può darsi. “La libertà di espressione in Serbia è in uno dei suoi momenti peggiori – dice ancora la stessa Lukovic – per la prima volta in 10 anni abbiamo avuto la sensazione che potremmo chiudere. Abbiamo offerto la trasmissione a tutte le radio e solo tre l’hanno accolta (Radio 021 di Novi Sad, Radio Sto Plus di Novi Pazar e OK radio di Vranje). Chi ci trasmette rischia”. (G.M. per NL)
 

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