La seconda Corte d’Appello civile di Milano ha condannato il biscione a pagare alla Cir complessivamente 560 milioni, tra capitale, interessi legali dall’ottobre 2009 e spese legali, come risarcimento per i danni causati a Carlo De Benedetti dalla corruzione giudiziaria che nel 1991 inquinò l’ultima pagina della cosidetta guerra di Segrate per il controllo della prima casa editrice italiana, la Mondadori.
La somma indicata dai giudici milanesi in parziale riforma del verdetto di primo grado, che aveva invece quantificato il risarcimento in 750 milioni, è composta da 540 milioni di risarcimento vero e proprio, più gli interessi legali del 2,5% a partire dalla data della sentenza di primo grado emessa dal giudice Raimondo Mesiano, cioè l’ottobre 2009, e dalle spese legali fissate in 8 milioni di euro. A influire su gran parte dello sconto del risarcimento è stato l’esito della consulenza tecnica d’ufficio che nel marzo 2010 la Corte d’Appello ha affidato ai professori Luigi Guatri, Maria Martellini e Giorgio Pellicelli per accertare «se fra giugno 1990 e aprile 1991 siano intervenute variazioni dei valori delle società e delle aziende oggetto di scambio tra le parti». Proprio la consulenza ha stabilito che le variazioni del valore delle azioni del gruppo scambiate tra il giugno del ’90 e l’aprile del ’91 è di 88,6 miliardi di lire in meno. Non solo. A incidere sulla riduzione del risarcimento è stato anche il mancato calcolo, in primo grado, dell’acquisto delle azioni dell’Espresso, passaggio che ha ridotto la prima quantificazione di 750 milioni di circa 66,8 miliardi di lire. E non è finita perchè a giudizio della Corte presieduta da Luigi de Ruggiero, la sentenza della Corte d’appello di Roma del ’91 non ha determinato un danno all’immagine della Cir, indicata all’epoca come il gruppo perdente. Per questo, alla somma finale, sono stati tolti altri 40 milioni di euro che invece il giudice Mesiano aveva riconosciuto al gruppo di De Benedetti. A parte la riduzione di un quarto netto dell’importo indicato in primo grado, nel resto la sentenza d’appello conferma nella sostanza quanto già valutato: la Mondadori venne assegnata a Berlusconi grazie alla corruzione di un giudice, Vittorio Metta, comprato per emettere una sentenza aggiustata in favore della Fininvest. «Con Metta non corrotto il lodo sarebbe stato confermato», scrivono i giudici milanesi in un passaggio delle circa 300 pagine di motivazioni. A loro giudizio, dunque, la Cir subì un danno «immediato e diretto» dalla sentenza Metta, e non una semplice «perdita di chanches» come aveva stabilito il giudice Raimondo Mesiano: la corruzione di Metta ha privato Cir, scrive la Corte in sentenza, non tanto della «chance» di una sentenza favorevole, ma, senz’altro, della sentenza favorevole, nel senso che, con «Metta non corrotto», l’impugnazione del lodo sarebbe stata respinta. Su questo i giudici d’appello non hanno dubbi: il premier è «corresponsabile», scrive la Corte facendo propria una valutazione già espressa dal giudice di primo grado, di una corruzione ormai accertata da sentenza passata in giudicato dalla Cassazione nel 2007. Un passaggio pesante nei confronti di Berlusconi, che penalmente non ha mai subito nessuna conseguenza dalla vicenda del Lodo Mondadori dopo che, nel 2001, in udienza preliminare, il gup Rosario Lupo gli ha concesse le attenunati generiche e, dunque, la prescrizione del reato. Per confutare ogni dubbio e replicare alle tante questioni sollevate in udienza da Fininvest, la Corte milanese ha addirittura provato a riscrivere quel verdetto inquinato del 1991 individuandone tutti gli «errori evidenti (non argomentazioni opinabili) della sentenza Metta: per riassumerli -scrive la Corte- quegli errori consistono in una lettura infedele della motivazione del lodo, nel capzioso superamento dei limiti propri del giudizio d’impugnazione di un lodo di equità, ancorchè avente ad oggetto norme fondamentali di ordine pubblico, nell’aver ritenuto inesistente una neppur essenziale motivazione sulla scindibilità, invece esistente e comprensibile, in un uso alternativo del diritto in tema di intervento di terzo». Il fatto che la Cir, all’epoca, non abbia proposto ricorso in Cassazione ma abbia poi partecipato alla mediazione guidata da Giuseppe Ciarrapico, non cambia nulla, sostengono i giudici milanesi. Anzi, per il gruppo di De Benedetti, era una scelta obbligata. «La decisione (della Cir, ndr) più che una libera scelta di rinunciare al ricorso (quale necessario corollario di una transazione) era – si legge in sentenza- a quel punto della vicenda, in fatto praticamente obbligata, a prescindere dalle eventuali prospettive di finale successo giudiziario». «Obbligata – aggiungono i giudici milanesi – perchè in ogni caso per la sentenza della Cassazione ci sarebbe voluto del tempo, mentre la Mondadori era sempre più ingovernabile (si ricordi quanto narrato all’inizio) e, per convergente interesse ed opinione delle parti, la sua sistemazione non poteva ritardare neppure per pochi mesi; peraltro, come ancora si dirà, ad una spartizione del gruppo si doveva pure arrivare, non solo perchè ad essa in realtà puntavano entrambe le parti (pur se a condizioni diverse), ma anche perchè le pressioni politiche in tal senso (nel senso della spartizione, non della quantificazione dei prezzi) erano diventate concretamente irresistibili». Questa volta, il verdetto d’appello è immediatamente esecutivo, così come lo sono tutte le sentenze nella giustizia civile. Lo sono già dal primo grado ma in questo caso, precisamente nel dicembre 2009, gli avvocati delle due parti hanno raggiunto un’intesa per congelare il pagamento a fronte di due condizioni: una fideiussione da 800 milioni prestata da un pool di quattro banche alla Fininvest in favore della Cir, e l’impegno della Corte d’Appello a definire in tempi rapidi la causa di secondo grado. In linea teorica l’esecutività del provvedimento potrebbe essere sospesa soltanto in caso di «grave e irreparabile danno», vale a dire il rischio di fallimento per la Mondadori. Un rischio che però, fanno notare negli ambienti giudiziari milanesi, non rientra in questo caso specifico. Questo significa che ora la Cir, non appena avrà in mano le copie «registrate» della sentenza firmata dai giudici Luigi De Ruggiero, Walter Saresella e Giovambattista Rollero, potrà riscuotere la fideiussione in Banca Intesa Sanpaolo, che è capofila del pool con Unicredit, Monte dei Paschi di Siena e Popolare di Sondrio, e così incassare i 560 milioni di euro. È evidente che Fininvest, che ha già preannunciato ricorso in Cassazione, chiederà la sospensione del provvedimento in attesa del pronunciamento definitivo della Suprema Corte. Ma non è detto che gli venga concessa. (Adnkronos)