Non è sfuggito ai più il rinnovato intensificarsi negli ultimi mesi della compravendita di impianti FM tra gli operatori.
Con alcune differenze rispetto al passato e con motivazioni che trovano spiegazione nelle differenze stesse. Anzitutto le quotazioni: il 75% in meno di 8 anni fa (beninteso, quelle sballate erano le originarie, non le attuali, sicché vale la morale della gallina d’oro di Esopo); poi la progressiva perdita di motivazione delle radio locali (quasi sempre per incapacità di gestire la successione generazionale); indi il rinnovato interesse degli investitori pubblicitari (nazionali) per il medium; infine la corsa al consolidamento delle posizioni (analogiche) dei superplayer in vista del cambio epocale di modello che avverrà nei prossimi 6/8 anni (quando la radio sarà prevalentemente sul web). Sta di fatto che la radio si fa sempre più nazionale o, meglio, si rivela sempre meno locale; con l’effetto che in vaste aree del territorio italiano in FM si ascoltano solo network, superstation o stazioni interregionali. Non che ciò sia di per sé un male, se l’occupazione dello spettro doveva essere solo a titolo di parcheggio a tempo indeterminato. Ma fa comunque riflettere.