La Gabanelli dedica una puntata alla ombre oscure che circondano il mondo delle grandi griffe e del made in Italy: sfruttamento e relazioni poco chiare tra maison e riviste specializzate.
La moda, uno dei fiori all’occhiello del made in Italy, nasconde molte ombre dietro a suoi sfarzi, ai suoi lussi, al suo impressionante giro d’affari. Boutique, riviste, feste e soldi, tanti soldi. Ma cosa c’è dietro? Ha provato a spiegarcelo una delle giornaliste più informate ed affamate del panorama televisivo italiano, una delle poche, purtroppo, che fanno davvero giornalismo in Italia: Milena Gabanelli. L’ultima puntata del suo programma su RaiTre, “Report”, era dedicata, appunto, a ciò che si nasconde dietro al mondo dell’alta moda italiana, alle ombre che oscurano lo scintillio delle grandi firme, da Prada a Dolce&Gabbana. Un’inchiesta a telecamera nascosta di Sabrina Giannini ha svelato ciò che accade nella fase produttiva dei prodotti delle grandi marche italiane. È entrata, ad esempio, nelle fabbriche del napoletano dove si producono le borse di Prada, mostrando come una borsa venduta per 440 euro in via Montenapoleone, a Milano, costi soltanto 26 euro, creata da lavoratori clandestini, malpagati ed in nero, senza il minimo contributo previdenziale. Non solo Prada, comunque, ma anche Dolce&Gabbana, Fendi e Salvatore Ferragamo nel mirino dell’inchiesta, che si è poi spostata sui rapporti non sempre chiari tra le maison e le riviste specializzate, divenute anch’esse grandi brand. Inserzionisti che impongono i servizi e gli argomenti da trattare sulle riviste, impossibilitando le redazioni a parlare liberamente di artisti emergenti per lasciare spazio a chi può permettersi di comprare spazi più o meno pubblicitari sui giornali. E poi il conflitto d’interessi di Franca Sozzani, direttrice di “Vogue Italia”, che accetta come unico fotografo de “L’Uomo Vogue” suo figlio e cura le campagne pubblicitarie delle maison sue inserzioniste. E, per finire, il bluff del “made in Italy” che, approfittando di normative poco chiare, finisce per esserlo solo sulla carta, con oltre il 50% della produzione che avviene all’estero.La puntata di “Report” ha fatto registrare uno share del 16% e quasi 4 milioni di spettatori, a testimonianza che quando i giornalisti si mettono a fare giornalismo i risultati si vedono, anche in televisione. (G.M. per NL)